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ATHOS, I COLORI DELLA FEDE: IL FOTOREPORTAGE DEL NOSTRO INVIATO KURTZ ROMMEL

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“Il Monte Athos è difficile da fotografare: non tanto perché resiste al carattere laico della fotografia, ma piuttosto perché ha bisogno di tempo per essere svelato. Da più di mille anni rimane nascosto dietro una pittoresca semiologia, un folklore sentimentale, dietro interpretazioni mistiche e rivelazioni miracolose. È un mondo fatto di silenzio e di mistero, un luogo sospeso, in bilico tra passato e presente, tradizione e libertà, forza e debolezza, tra il buio e la luce. E non è semplice superare la sua storia poderosa, la sua religiosità esasperata e creare immagini che rispettano il luogo senza ledere l’autonomia creativa del fotografo.”
Stratos Kalafatis

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Il 20 Settembre 2015, nella suggestiva cornice dell’Appartamento Padronale di Palazzo Saluzzo Paesana, si è tenuta l’inaugurazione della mostra fotografica “ATHOS, I COLORI DELLA FEDE”.
Una mostra estremamente particolare, realizzata grazie alla MIET – Fondazione Culturale della Banca Nazionale Greca, col patrocinio del Ministero della Cultura della Repubblica Greca, della Regione Piemonte, della Città di Torino e dell’ Ambasciata di Grecia a Roma e la collaborazione della Fondazione Ellenica di Cultura Italia, dell’Associazione Piemonte-Grecia “Santorre di Santarosa”e dell’ Associazione Culturale Palazzo Saluzzo Paesana.

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Questa mostra, il cui autore è il fotografo greco Stratos Kalafatis, porta agli occhi del pubblico tutta la particolarità di un territorio a molti ignoto, ma estremamente importante per la fede ortodossa: il Monte Athos, ovvero quello che corrisponde al Vaticano cattolico.
Partiamo da un minimo di descrizione: la Repubblica Monastica del Monte Athos è uno stato teocratico, classificato come territorio autonomo della Grecia, dotato ai sensi dell’Art.5 della Costituzione greca di un suo autogoverno. Si trova nella parte più orientale della penisola calcidica, e confina con la Macedonia.
Vi fu un tempo durante il quale fu, tecnicamente, una vera e propria isola: infatti si racconta che Serse, re dei Persiani, durante la seconda spedizione contro la Grecia abbia fatto costruire un canale navigabile per la sua flotta. Un canale assolutamente necessario per evitare la circumnavigazione della penisola, già costata, nel 492 a.c., al generale Mardonio la perdita di 300 navi.
Fa parte dell’area Schengen e dell’UE, ed è popolato da circa 1500 monaci, distribuiti in una ventina di monasteri, una dozzina di comunità minori e circa 250 eremi isolati. Il capoluogo è Kayres, una cittadina che ospita le istituzioni statali e di supporto, tra cui un piccolo ospedale.

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Parliamo dell’autore: chi è Stratos Kalafatis?
E’ un fotografo greco, classe 1966, nato nella città di Kavala, nella parte nord-orientale della Grecia.
Studia fotografia all’Art Institute di Philadelphia, negli USA. Vive a Salonicco, dove lavora come fotografo e insegna fotografia creativa.
Dal 1993 ha portato a termine vari progetti fotografici: “Immagini archetipe”, “Diario 1998-2002”, “Saga”, “Arcipelago”, e adesso appunto “Athos-I colori della fede”.
E’ stato insignito di numerosi premi internazionali e ha partecipato ad importanti manifestazioni culturali, tra cui l’edizione del 2006 della Biennale di Architettura di Venezia.

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La vita monastica degli uomini che popolano questo monte viene raccontata da Kalafatis attraverso scatti analogici, in formato quadrato: una vita già descritta da altri fotografi, a partire da Sebastianof nel 1860, ma di cui anche lui ha sentito il fascino. Una vita ritirata, condotta in clausura e spiritualità, sicuramente dura ma indubbiamente affascinante.
“Sul Monte Athos non nascono vite umane”.
Stratos Kalafatis evidenzia, con queste parole, quella che è un delle particolarità forse più significative di Monte Athos: il cosiddetto “Avaton”, cioè il divieto assoluto di ingresso alle donne, e più in generale a qualsiasi essere vivente di sesso femminile, esclusi cani e gatti da compagnia (che comunque ricevono nomi maschili).
I suoi scatti, che insistono parecchio sui volti, sui dettagli, sulla storia e sui paesaggi rimasti pressochè immutati da sempre, riescono a catturare la bellezza dei luoghi, l’atmosfera ed il misticismo dei complessi monastici, delle comunità e dei singoli eremi, e soprattutto l’anima di questi uomini, riservati ed ascetici.
Non sono quelli del paparazzo invadente o del turista alternativo, ma il frutto di un lavoro di avvicinamento lento e progressivo ai monaci di cui ha faticato parecchio a conquistarsi la fiducia, peraltro ben riposta.
Ha visitato il Monte con umiltà e rispetto, ha accettato le restrizioni ed i divieti impostigli, ha lavorato in modo sempre trasparente ed onesto, senza cercare di superare i limiti che aveva od essere indiscreto.
Parlando della sua esperienza, ha detto: “Non mi è stato consentito di scattare foto all’interno delle chiese, durante le funzioni, né di fotografare i cimeli che sono considerati proprietà spirituale dei monasteri. Questo in fondo è stato per me il vero Avaton del Monte Athos”.

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Storia, tradizione, cultura, vengono immortalate in una serie di foto che evidenziano il contrasto tra il mondo interiore, spirituale, e quello fisico, materiale: un contrasto che evidenzia il totale distacco dalla materialità, condotto in totale ascetismo ed essenzialità spinta, per raggiungere una ricchezza interiore di primaria importanza.
Foto che colpiscono anche per un altro fattore: il colore. Si potrebbe immaginare siano solo una serie di panorami di una zona montuosa, di frontali di chiese, e di monaci vestiti di nero. Invece no.
In queste foto il colore è tutto: i contrasti sono accentuati, le tonalità quasi sovraesposte, col risultato di dare una nuova prospettiva relativa al più importante complesso religioso europeo, assolutamente inedita.
Prospettiva in linea coi suoi canoni stilistici e fotografici, che esce con forza ma senza prepotenza da questi 120 scatti, risultato di un lavoro di 5 anni, suddivisi in 25 visite e 200 giorni di pellegrinaggi fotografici tra il 2008 ed il 2013, e che riesce a dare corpo ed immagine alle emozioni spirituali.

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La mostra, nell’ambito del programma Torino Spiritualità ed a cura di Afrodite Oikonomidou e Enrico Debandi, sarà visibile sino al 25 ottobre (da martedì a sabato ore 15-19, domenica 11-19, ingresso libero).

Kurtz Rommel

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