Articolo di Giacomo Ferrante
Come fan di questo festival di cinema piemontese fin dai suoi esordi, intorno al passaggio di secolo e di millennio, quando acquisì una identità propria dopo esser stato una sezione marginale del Festival Cinema Giovani di Torino (Anteprima spazio Torino, appunto), devo dire che leggendo il programma di quest’anno, mi pare sia uno dei migliori rispetto alle edizioni passate, se non il migliore in assoluto. Infatti pur avendo una durata di circa la metà del festival padre (Il Torino Film festival dura una decina di giorni, il Piemonte Movie solo una “cinquina”), ha un programma ricchissimo di cose interessanti con nomi altisonanti anche tra i film in competizione, nei concorsi in genere riservati soprattutto ad esordienti o quasi, nomi come i fratelli De Serio, Sergio Fergnachino o Lucio Viglierchio ad esempio, che concorrono rispettivamente coi titoli “I ricordi del fiume”, “Vicino alla mia pelle” e “Lucemia”. Non parliamo poi dei due autori omaggiati quest’anno, Guido Chiesa e il compianto Claudio Caligari, romano d’adozione ma nato ad Arona. Ad oggi, domenica 13 marzo, ultimo giorno di proiezioni (con appendice lunedì in cui verranno proiettati i film vincenti dei vari premi in palio), son riuscito a vedere alcuni film di cui in breve parlerò ed altri li vedrò tra oggi e domani. Fin dall’inaugurazione al cinema Massimo col film documentario su Lorenzo Ventavoli (“Venanzio Revolt, i miei primi 80 anni di cinema”) autentico “Ras” del cinema torinese essendo stato proprietario ed esercente di decine di sale della città tra le quali quelle che ancora oggi controlla (Romano, Gioiello e multisala Eliseo), si è respirata un’atmosfera allegra e ricca di spirito e di amore per il cinema; il film in se, devo dire, dal punto di vista creativo e artistico non impressiona per niente, anzi risulta un po’ troppo statico e banale nelle scelte di movimenti di macchina, la scelta di far recitare alla voce di Nanni Moretti in persona alcuni passaggi di scritti con cui Ventavoli racconta di se oppure il dialogo su tavola imbandita con Steve Della Casa, non risultano idee originali, ma il personaggio e la sua storia restano talmente interessanti che quei circa 50 minuti di documentario si guardano, nonostante tutto, senza fatica ma con divertimento e sorpresa.
Il film in concorso dei De Serio, che conosco fin dai loro esordi, quello che racconta del “Platz”, la ex-baraccopoli di romeni nella periferia nord torinese, oggi del tutto sgomberata, mi ha fatto pensare che con questo film davvero “Rinasce Zavattini” Infatti i due fratelli (gemelli) non solo si limitano a “pedinare la realtà” (come appunto teorizzava Zavattini), quella realtà, dura, difficile, a tratti insostenibile, ma anche riescono a fare quel che solo i veri grandi autori possono riuscire a fare, ovvero, sparire, non dare agli spettatori il minimo avvertimento di “esserci mentre i fatti sulla pellicola si svolgono”…mi viene in mente un altro grande film di Garrone, “Gomorra”, o “Il pianeta azzurro” di Piavoli..film che hanno questa precisa caratteristica, cioè che l’autore sembra proprio non esistere dietro la cinepresa, e “meno sembra esserci più c’è” proprio perché se racconti una realtà da “assente” significa che quella “è la tua realtà”…l’hai fatta propria, la comprendi e quindi puoi raccontarla sul serio (e non per finta come fanno tanti, troppi “pseudoautori allo sbaraglio” con inchieste realizzate su oggetti sconosciuti e che non si ha la minima intenzione di conoscere davvero… Poi ho visto “Lucemia” di Lucio Viglierchio e ho scoperto, un po’ a sorpresa, una grande personalità d’autore…in questo film durissimo, addirittura difficile da guardare fino in fondo se si sa quale sarà il “non lieto fine”, (in sintesi il racconto di due vite parallele conosciutesi durante una comune malattia, leucemia mieloide, in cui l’uno riesce a vincerla e l’altro, purtroppo, nonostante tutta la voglia, la determinazione e lo spirito messo in atto, no!). Un film che diventa “digeribile” proprio perché è l’autore stesso a mettersi completamente in gioco, a metterci la faccia, il corpo, senza risparmio…Non vedo l’ora di vedere il prossimo lavoro di questo autore, che, ripeto, ha ampiamente dimostrato di saper “fare cinema” partendo da se stesso…magari guardando altrove…
Di Guido Chiesa conosco i suoi lavori più importanti, da “Il caso martello” a “Il partigiano Johnny” a “Lavorare con lentezza” a “Materiale resistente”, etc…ma tra gli altri mi mancava un suo corto del 2000 “Provini per un massacro”, realizzato in occasione di un ricordo su Pasolini per il 25ennale della sua scomparsa…Ne avevo sentito parlare ed ora, grazie a Piemonte Movie, ho potuto finalmente vederlo…Una serie di interviste a giovani dell’epoca (gente che oggi avrà 35-40 anni) sul tema dell’esposizione in pubblico di se stessi per mezzo di una telecamera…quanto, ciascuno di noi, è disposto a spogliarsi in pubblico, spogliarsi non solo degli abiti ma anche e soprattutto della propria “dignità”? Questa è in fondo la domanda unica, la domanda chiave che si pone e ci pone Chiesa con questo lavoro…pensando e ripensando al “famigerato” “Salò – le 120 giornate di Sodoma” di Pasolini, suo ultimo e testamentario film ancora oggi non adatto a stomaci deboli… Tra oggi e domani vedrò ancora altri film tra le sale Massimo, Movie e Classico di Piazza Vittorio Veneto, ove si svolgerà la cerimonia di chiusura con la premiazione dei film in gara, giudicati tra gli altri dallo stesso Chiesa e da Federico Altieri, promosso coraggiosamente dagli organizzatori del festival al grado di “giurato” dopo esser stato a sua volta “giudicato” licenziabile da una azienda cittadina operante anche nel settore cinema alla quale lui, da autentico “cinefilo proletario”, non a caso torinese, aveva reagito scrivendo ad una delle massime autorità mondiali in fatto di cinema della realtà, Ken Loach, quello che personalmente considero il più grande cineasta vivente…e allora, viva Ken Loach, viva Altieri, viva la rinascita di Zavattini, viva Piemonte Movie.
Giacomo Ferrante
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