Diretto, duro e profondamente d’impatto già a partire dal titolo, Anna di Charles-Olivier Michaud svela che il suo centro è la figura di una donna, al tempo stesso, oggetto e soggetto della storia raccontata. Anna (Anna Mouglalis) è una fotoreporter franco-canadese che lavora per il magazine Offense. Quando la professione la porta fino in Asia per denunciare il turismo sessuale e l’abuso perpetrato sulle giovani donne, Anna finisce per diventare vittima di quella violenza che doveva essere il fulcro del suo reportage. Rapita, violentata, sfregiata e ferita irrimediabilmente nell’animo, la giornalista sceglie di cercare giustizia e regolare i conti con i carnefici.
Nel momento in cui da testimone di una violenza ne diventa essa stessa vittima, l’anima di Anna si spacca in due e mostra la sua doppia natura di denunciatrice e vendicatrice. E spaccato in due è tutto il film di Michaud. Le prime inquadrature che mostrano le interviste della reporter alle prostitute fanno quasi credere di essere davanti a un documentario. Senza mezzi termini, ma con la capacità di gettarci in faccia la violenza e la bruttura umana senza mai mostrarne davvero la più rude crudezza, Michaud introduce a un tema sociale ancora attualissimo: la tratta di giovani ragazze sacrificate all’altare del sesso.
Ma la violenza subìta da Anna segna il punto di svolta per la donna e per il lungometraggio. Da film di denuncia, Anna vira verso la strada del thriller e del dramma psicologico in cui la protagonista, quasi sulla scia del dittico Kill Bill, scivola in una spirale di rabbia e sceglie la via della vendetta fai da te. La condanna sociale di un mondo marcio lascia il posto, perciò, a una storia che si fa sempre più intima e personale, acuendo quel senso di contrasto che solo il finale riesce in qualche modo a risanare mirabilmente.
Valeria Gaetano
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