Attualissima nel tema, quello dell’immigrazione, e prevedibile nell’evoluzione della storia, Benvenuto in Germania si presenta dalle prime scene come una commedia di produzione tedesca ma dal sapore d’oltreoceano.
Con ironia e un tocco di leggerezza, il regista Simon Verhoeven mette al centro della scena una famiglia benestante della Germania dei giorni nostri. Angelika Hartmann (Senta Berger) è una insegnante in pensione che cerca soddisfazione nell’aiutare gli altri. Suo marito Richard (Heiner Lauterbach), dottore sessantenne in carriera, divide il tempo tra lavoro e ricerca di una nuova giovinezza a suon di bisturi e profili social. La figlia trentunenne Sophie (Palina Rojinski) è l’eterna studentessa che non riesce a laurearsi e Philip (Florian David Fitz), suo fratello, un avvocato di successo così dedito al lavoro da farsi venire un esaurimento nervoso. La vita in famiglia, quando si è insieme, è un disastro.
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E, come in ogni commedia che si rispetti, arriva l’elemento estraneo a stravolgere e ricreare un equilibrio più sano. È il rifugiato Diallo Makabouri (Eric Kabongo) che, portando scompiglio, diventa la soluzione.
Se nei suoi centosedici minuti di durata Benvenuto in Germania rischia di apparire, a tratti, prolisso, noioso e scontato nel susseguirsi degli eventi, un merito si deve riconoscere alla pellicola di Verhoeven, cioè il tema e la prospettiva da cui è trattato. Il regista resta nel politicamente corretto, eppure riesce a svuotare il problema dell’immigrazione e dell’integrazione, centro della pellicola, del lato drammatico e critico. E lo fa lasciando grande spazio alla storia di una famiglia che, in ogni suo membro, si approccia a un tema profondamente contemporaneo in modo goffo e buffo.
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Le scene divertenti, le battute, la comicità di certi comportamenti contribuiscono ad alleggerire tanto la narrazione. E, per questo, quello che ne resta, nonostante i problemi, è che tutto può andare per il meglio.
Nessuno all’inizio è esente da colpe, nemmeno la perbenista Angelika, perché ognuno porta dentro di sé preconcetti che solo il contatto diretto e la conoscenza dello “straniero” possono smascherare. Qui è forse il messaggio più sincero della commedia di Verhoeven che, pure, non rinuncia a sfiorare il problema di un matrimonio in disfacimento, il turbamento di una crisi di mezza età, le difficoltà di una società che costringe al lavoro senza compromessi. Ma si tratta di temi di contorno che nulla tolgono alla centralità e all’urgenza di trovare un punto di incontro con la necessità di integrarsi.
Valeria Gaetano
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