Ero giovanissimo e mi presentai a Cinecittà per candidarmi a un piccolo ruolo in un film provvisoriamente intitolato “Il buio nel cervello”, tanto per intrufolarmi in quel magico mondo che tanto mi affascinava. Nel varcare la soglia dei mitici teatri di posa, provai un’ebrezza incredibile. La realizzazione di un sogno. Ma dovetti fare subito i conti con una realtà assai meno poetica: la concorrenza di moltissimi altri ragazzi, tutti pronti a sgomitare per farsi notare dai responsabili della produzione. Ci fecero mettere in fila, coperti e allineati, mentre venivamo “squadrati” da capo a piedi, con fare spiccio e modi bruschi. Una umiliazione incredibile: sembravamo carne da macello. Alla fine della selezione, rimanemmo in quattro e il giorno dopo eravamo già pronti a girare. Ci fecero spogliare completamente, in pieno inverno, in un ambiente freddissimo, facendoci rimanere nudi per molte ore, in attesa del primo ciak.
La scena cui partecipavo rappresentava uno stupro di gruppo, da parte di quattro giovani, nei confronti di una affascinante signora, interpretata da una attrice straniera della quale non ricordo il nome. Poi ne mangiavamo il corpo. E lì ho dato il meglio di me, tanto che il regista volle farmi molti primissimi piani mentre addentavo un braccio della donna, intriso di sciroppo di amarena. La cosa che ancora oggi ricordo con emozione è il panino con la coppa (un salume appetitoso ma poco “nobile”, per me abituato al prosciutto San Daniele!) che ci offrì la produzione per rifocillarci. In quel momento significava mangiare pane e cinema, quasi fosse una sorta di “imprimatur” ufficiale del mio ingresso nel mondo della celluloide. Quel piccolo ruolo mi fece guadagnare una bella somma, il primo guadagno consistente della mia vita. Peccato che, per il freddo preso, mi beccai una bella bronchite, con febbre alta, che mi durò parecchi giorni, costringendomi a spendere quei soldi per medico e medicine. Ma non mi demoralizzai: lo consideravo il prezzo del successo!
Pierfrancesco Campanella
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