Presentato all’interno della selezione ufficiale dell’11a Festa del Cinema di Roma, “The Rolling Stones Olé Olé Olé!: A Trip Across Latina America” è il documentario di Paul Dugdale che racconta il tour e il viaggio dei Rolling Stones attraverso l’America latina all’inizio del 2016.
Il film comincia dall’ultimo giorno di prove 2 mesi prima dell’inizio del tour in 9 città del Sud America: si parte il 3 febbraio da Santiago del Cile, poi il 7, 10 e 13 febbraio a Buenos Aires (Argentina), il 16 a Montevideo (Uruguay), il 20 al Maracanà di Rio De Janeiro, il 24 e 27 febbraio a San Paolo e il 2 marzo a Porto Alegre (Brasile), il 6 a Lima (Perù), il 10 a Bogotá (Colombia), il 14 a Città del Messico e la decima è il 25 marzo a L’Avana (Cuba). Il concerto inizia come (quasi) sempre con “Start me up”, il rock era considerato musica ribelle e proibita in molti paesi sudamericani negli anni ’60 e ’70, l’Argentina è il primo paese dove hanno suonato, lì c’è il culto dei “Rolingas”, una specie di religione che si è sviluppata nel periodo della guerra delle Folkland quando non potevano suonare lì. A un certo punto si vede Keith Richards che si affaccia dalla sua stanza d’albergo e saluta i fan. Arrivano in Uruguay, gli Stones non hanno mai suonato a Montevideo, la sera escono e vanno a sentire dei percussionisti che suonano nei locali. Poi vanno in Brasile dov’erano stati nel ’68, quando Keith inventò il riff di “Honky Tonk Woman”, c’è una grande affinità umana tra Mick Jagger e Keith Richards e il regista si sofferma su questo aspetto.
Paul Dugdale ha già diretto documentari su Adele, Prodigy, Coldplay e altri sui Rolling Stones come “Sweet Summer Sun” il live ad Hyde Park di Londra del 2013 e “Havana Moon in Cuba” uscito al cinema lo scorso settembre che documentava l’intero concerto del 25 marzo 2016, ma in questo “Olé Olé Olé” ci sono anche gli altri paesi dell’America Latina e si raccontano le culture locali dei vari popoli che il tour attraversa.
Si vede il chitarrista Ron Wood mentre dipinge e dice di essere nato con la matita e il plettro in mano, Keith Richards che usa un bastone per fermare la pioggia e sembra uno sciamano anche se qualche volta il metodo non funziona, il batterista Charlie Watts che confessa che per lui il mondo dello show business è una stronzata, ma quando parte “Simpathy for the devil” mette tutti d’accordo. C’è il samba che nasce nelle favelas ed è l’espressione del popolo brasiliano, mentre quando arrivano in Perù si vedono gli Stones che suonano a bordo di una piscina sopra un albergo di Lima. Ci sono le danze andine nate contro gli spagnoli che volevano imporre la loro cultura, in Perù sembra che mangino i criceti e Mick Jagger fa una battuta sul porcellino d’India della figlia che non si trova più. Dopo essere passati per la Colombia arrivano in Messico dove parla un ex leader della controcultura che racconta di aver insegnato a suonare la chitarra a Carlos Santana, c’è stato il festival di Avandaro alla fine del ’71 e fino al ’75, poi il rock fu represso dalla dittatura e fu uno shock per molti messicani. C’è la musica mariachi, il Messico è il paese della chitarra e molti ne hanno una in casa. Si sente “Wild Horses”, si ricorda quando persino il Papa si mise contro gli Stones e cercò di convincerli a spostare la data del concerto perché capitava di venerdì santo ma loro non ne vollero sapere (“non è il mio manager!”), pure Obama a un certo punto parla del concerto a Cuba (dov’era stato pochi giorni prima). Si racconta anche dell’embargo e della difficoltà che c’è stata per anni a reperire strumenti e corde. I Rolling Stones arrivano per la prima volta a Cuba dopo aver viaggiato 50 anni in giro per il mondo, per i cubani questo è stato un evento storico pieno di significati culturali, in una settimana hanno avuto Obama e gli Stones e si sono liberati. Quando parte “It’s only rock’n’roll (but I Like it)” si capisce il senso e il potere liberatorio di questa musica. In fondo è solo rock’n’roll, ma ci piace ancora tanto…
Alessandro Sgritta
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