Vita, morte, valori di una società allo sbando, visti dagli occhi di un Soldato.
E’ il 2 giugno. Dovrei essere in parata di fronte ad un popolo che non riconosco più come il mio, di fronte ad un paese che non si può più definire Nazione, a mostrare con la mia presenza che quei valori di cui ormai è meglio non parlare esistono ancora. Il 2 giugno. La festa della Repubblica.
Una festa che ho scelto di evitare, ormai da qualche anno.
Preferisco essere in una caffefferia, a scroccare il wi-fi mentre scrivo questa recensione, e cerco inutilmente di convincere l’animalara di turno che quel gorilla non aveva scampo.
Ed è questo che mi riempie di amarezza, alla fine. Vedere come troppa gente stia prendendo le difese di una fottuta scimmia, mentre di una ragazza morta male, per colpa di un ex fuori di testa, non freghi nulla a nessuno, passate le prime due ore di indignazione da tastiera.
Due ore scarse per lei, ormai due giorni abbondanti per un gorilla.
C’è qualcosa che non va.
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Ed è qua che inizia la mia recensione su questo fantastico libro, “Mai avere paura”, scritto da Danilo Pagliaro, un soldato della mitica Legione Straniera.
Edito da Chiarelettere, scritto con Andrea Sceresini, è la prima testimonianza di un legionario in servizio. Una testimonianza preziosa, che fa capire cosa significa veramente avere un nemico di fronte, non sullo schermo della tv, e cosa vuol dire essere costretti a sparargli.
La testimonianza non di un malato della guerra, di un criminale in cerca di un riscatto, o di un soldato pentito, ma di un uomo che, per dare un senso ad un’esistenza ormai arrivata ad un punto morto, decide di cambiare completamente vita.
Una vita iniziata con la delusione di non essere riuscito ad entrare in Polizia, per mancanza di una raccomandazione, proseguita con la tristezza di un lavoro da guardia giurata agli ordini di un “sergente” col cappellone da Sturmtruppen, e riscattata dalla scelta di presentarsi ad Aubagne.
Una volta entrato, Danilo perde tutto: vestiti, soldi, telefono, persino il suo nome, per iniziare una vita da soldato di professione, ed iniziare a combattere nei posti più caldi del pianeta, soprattutto in Africa, in mezzo a guerriglieri, rivoluzioni e guerre di cui, spesso, nessuno sa nulla e di cui a ben pochi, alla fine, frega qualcosa. Inizia la sua nuova vita, quella di un soldato che conosce il suo compito, che sa cosa deve fare, e soprattutto sa di dover rispettare delle regole, per quanto scomode o dure siano.
Una storia scritta senza sensazionalismi, senza esibizionismi alla Marcinko, senza autoelogi o protagonismi: quella di una scelta dura e sofferta, movimentata, totalmente diversa dai sogni e dall’immaginario di tutti i leoni da tastiera che mitizzano la guerra senza averla mai vissuta, e che credono al mito del superduro che con un pugno e due fucilate risolve le crisi del mondo.
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Tutti fanatici cresciuti tra Call of Duty e film di guerra, che sui loro profili fb sbandierano le loro volontà di “andare in Legione”, ma poi si fermano lì, incapaci di dare un taglio netto con tutto.
Una recensione che ho impostato in gran parte come un’intervista ideale, come se Danilo fosse qua con me, e le cui risposte alle mie domande sono le frasi del libro. Parlano già abbastanza chiaro. Un libro che vale la pena leggere, proprio perché spiega molto bene il concetto reale di che cosa sia un soldato, e soprattutto perché non è il solito libro di racconti di guerra, come altri.
Solitamente da un libro del genere ci si aspetta solo una serie di episodi di combattimenti e guerre, come se fossero i livelli di un videogioco: il protagonista entra, sconfigge i nemici, vince ed esce.
Invece no: in questo libro, Danilo evidenzia anche la situazione attuale della società occidentale, condannandola senza pietà e senza giri di parole. Lo fa in modo chiaro e diretto, ma, cosa molto interessante, senza farne una questione politica.
La sua è solamente una riflessione, amareggiata e realistica, riguardo alla pericolosa deriva che il nostro mondo ha preso, e da cui sembra ormai incapace di uscire.
Vita personale, descrizione della Legione autentica, racconti di missioni e di guerra, riflessioni sulla società attuale, previsioni sul nostro futuro: in questo libro c’è tutto questo, rendendolo un’opera da leggere con molta attenzione, proprio per la sua diversità da tanti altri libri di guerra.
“Mai avere paura” è quasi un trattato sulla società odierna, sul suo declino e sul modo in cui trascina con sé anche il mondo militare, lentamente ma senza freni, mettendone in crisi il sistema di valori e tradizioni su cui si basa. E la cosa più triste è che sono gli stessi valori e tradizioni su cui si dovrebbe basare la società civile, che i militari hanno il compito di difendere, senza mezzi termini e senza discussioni.
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Chi sei? Chi è Danilo Pagliaro, o Pedro Perrini?
“Sono un legionario e il mio mestiere è fare la guerra. Sono entrato nella Legione straniera nel 1994. Avevo trentasette anni ed ero arrivato a un punto di non ritorno. La faccenda è stata piuttosto rapida. Si è svolta nel giro di pochi minuti, in una stanzetta spoglia, due sedie e una scrivania. Il caporal-chef ha scribacchiato qualcosa su un modulo, poi ha alzato lo sguardo, mi ha fissato negli occhi e ha annunciato la mia nuova identità: «Perrini Pedro, nato a Roma, classe 1957, stato civile celibe». I vecchi documenti ormai non servivano più. Me li hanno tolti e li hanno messi sottochiave. Poco importava che fossi sposato, avessi una casa e due figli: improvvisamente risultavo libero, la mia vita precedente era stata completamente annullata. Era bastato un colpo di penna. Ciò che ero non esisteva più, ciò che possedevo aveva smesso di appartenermi. Ero un legionario, un uomo senza nome, questo doveva bastare.” (pag. 3)
Ok, Danilo… di cosa parla questo libro? L’ho detto nella mia introduzione, ma ora parlacene tu.
“In questo libro vi racconterò cosa significa essere un legionario. Cosa significa oggi e cosa significava quando ho avuto l’onore di diventarlo. È una storia lunga e movimentata. Ma prima di cominciare devo fare una fondamentale premessa: portare il képi blanc, il tipico copricapo del Corpo, non è come indossare un berretto da baseball.”
Chi è il legionario?
“il legionario è colui che parte in silenzio. Il suo unico scopo è intraprendere una nuova vita. Per farlo, non ha bisogno né di uno smartphone né di un profilo Twitter. La Legione può fare molto per te: può offrirti una nuova esistenza. In cambio, però, si prenderà quella vecchia. C’è poco da essere su di giri. Nel momento in cui ti arruolerai, una parte di te morirà per sempre. Se non ne sei consapevole, è meglio che resti dalla mamma.” (pag. 5)
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Detesti i cosiddetti legionari da tastiera: cosa hai da dirgli, o da dire ad altri?
“Lo avrete capito: La Legione, soprattutto oggi, è fatta di tante cose, non soltanto di combattimenti. Guardatevi da quei ragazzotti palestrati, tutti casa e computer, che fanno la vita dei bamboccioni a spese di mamma e papà, e intanto vegetano sui forum discettando di armi, tecniche militari e corpi d’élite e si esaltano pensando alla guerra. Non è per loro che sto scrivendo questo libro: chi adora il sangue è perché non l’ha mai visto. A quei ragazzi dico: abbiate le palle di arruolarvi, di partire in missione e di farvi spedire in prima linea. Vedrete il sangue, e vi assicuro che non vi piacerà. Chi in guerra c’è stato sul serio sviluppa una sorta di pudore. Certi episodi non devono essere raccontati, perché andare in battaglia è come entrare in confessionale: ciò che accade non deve uscire da lì. Diffidate dai grandi oratori, dagli smargiassi della trincea e dai poeti del filo spinato: quelli la guerra non l’hanno mai vista. La guerra, da qualsiasi parte la si guardi, è un abominio, non come nei film o nei videogiochi, lo è molto, molto di più.” (pgg. 119-120)
Quindi chi vuole uccidere è un malato mentale. Un soldato, invece, rispetta la vita.
“Uccidere non è la parola giusta. E’ impersonale. Tu non uccidi. Tu togli la vita. ( …)
Un soldato rispetta la vita perchè sa di doverla togliere. Funziona come nella caccia: il cacciatore che uccide un fagiano, lo raccatta come se fosse una cosa e lo getta nel cofano della macchina non è un vero cacciatore. Il vero cacciatore è colui che raccoglie delicatamente il fagiano morto, lo pulisce, lo accarezza, gli liscia le piume, lo ricompone. Il vero soldato onora la propria preda. Gli ha tolto la vita e deve assumersene la responsabilità.” (pag. 121)
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Concetto difficile per molti, ma estremamente chiaro, per chi ha un minimo di sensibilità. Ma oggi, in un mondo intriso di buonismo e di finti valori, temo sia difficile farlo capire. Come vedi il mondo attorno a te?
“E’ inutile prendersi in giro: i tempi stanno cambiando. Sta cambiando la Legione, sta cambiando l’Esercito, sta cambiando l’intera società. (pag. 173)
(…)
Mi rendo conto che sto rimanendo solo. D’un tratto apro gli occhi e mi accorgo che nel mondo che mi circonda la diserzione è vista come una cosa normale, come una banalissima rescissione di contratto. Che cosa vuol dire? Che fine hanno fatto i valori del nostro Esercito, della nostra società in generale? ( …) All’improvviso mi rendo conto che ci stiamo rammollendo. E il problema non riguarda solo gli italiani, la stessa cosa sta accadendo anche in Francia. La vecchia scuola sta cedendo il passo ad un lassismo generale dalle potenzialità negative assolutamente incontestabili. (pag. 175)
( …)
Il guaio è che stiamo vivendo una grande ubriacatura di buonismo, che si è già impossessato del mondo civile e ora, come se non bastasse, si sta insinuando anche nell’Esercito. Alla base di tutto c’è senza dubbio una profonda crisi morale. Oggi tutto è dovuto. Ci sono solo diritti e non esistono più doveri. ( … ) Ma la realtà è diversa: la gente non vuole più avere obblighi, punto e basta. Tutto si fa in funzione dei soldi. ( … ) La nostra scala di valori è finita completamente alle ortiche. E le conseguenze sono spesso grottesche. (pgg. 180-181)
( …)
C’è poco da fare: siamo al delirio collettivo. ( … ) Il problema è che viviamo nell’epoca dell’estrema coglionaggine, dove la forma ha preso il posto della sostanza e l’apparenza ha spodestato la razionalità. (pag. 182)”
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E come vedi il futuro, in questa situazione?
Io credo che lo spartiacque sia rappresentato dal Sessantotto. Gli ex sessantottini sono quelli che oggi ci governano, con tutto ciò che ne consegue. L’amore libero, la ribellione generalizzata, il non rispetto per le istituzioni: eccoli i loro insegnamenti. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: ciascuno pensa a se stesso, ai propri diritti, alle proprie prerogative sociali. Perciò dico: noi siamo destinati a scomparire.
Quando è tramontato l’Impero romano? Semplice: quando i cittadini hanno cominciato a disinteressarsi del bene comune, concentrando l’attenzione sulle feste e sulle orge. La pancia piena produce questi effetti. ( …) In fondo c’è poco da fare: quando il tuo unico interesse è divertirti, mangiare, spendere e bere, è allora che inizia il declino. E’ un processo lento ma inesorabile.
Se non saremo in grado di rialzare la testa, con uno scatto di orgoglio degno del nostro passato e delle nostre tradizioni, è certo che soccomberemo. ( …) Dopo tante battaglie, un nuovo nemico si profila all’orizzonte. Il più temibile, il più subdolo. La stupidità umana. (pgg. 183-184)”
Danilo avverte a chiare lettere che questo suo libro non è adatto ai legionari da tastiera, che hanno come unico passatempo quello di vegetare sui forum militari, senza mai avere il coraggio di arruolarsi realmente. Io penso che invece dovrebbero leggerlo, proprio per il messaggio che porta.
Un’esortazione a tirarsi su le maniche, a non lasciarsi andare, a rialzare la testa in tutto, dalla vita personale a quella della Nazione.
E dovrebbero leggerlo non solo loro, ma tutti. Tutto questo mondo di persone con la pancia troppo piena, gonfie di diritti fasulli e di rifiuto per la fatica ed il dovere, che vogliono tutto subito e a costo zero, senza faticare, che non hanno più una scala di valori concreti, e odiano per moda le uniformi che invece le proteggono, senza alla fine sapere nemmeno per quale motivo.
Ma ho paura che non lo faranno: sono troppo impegnate a disquisire su come si sarebbe potuto salvare il povero gorillone puccioso, malamente umanizzato nelle loro teste ormai piene di ideali distorti, sogni di anarchia e pacifismo coatto, desideri puramente immediati, e soprattutto piene di paura e disinteresse verso il futuro. Un futuro che, per colpa di questa maggioranza di persone, sta diventando sempre più incerto, e che ci porterà ad una catastrofe. E quando questa catastrofe arriverà, non ci saranno più le odiate uniformi a proteggerli: si saranno ammosciate anche quelle, come viene descritto nelle ultime pagine di quest’opera, realmente unica nel suo genere.
Temo che il libro di Danilo si rivelerà profetico.
Kurtz Rommel – registered G.N.S. reporter
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