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Avere vent’anni (1978) è un film memorabile, non solo per le attrici che lo interpretano ma per l’intera cinematografia di genere degli anni Settanta. Il regista è Fernando di Leo, un autore ispirato che ricordiamo soprattutto per il noir (si pensi a Milano calibro 9 e La mala ordina del 1972). Non dimentichiamo che di Leo è stato anche sceneggiatore di molti western (Per un pugno di dollari), ha girato ottimi thriller e alcune pellicole di atmosfera erotico-morbosa (La seduzione). Fernando di Leo è stato frainteso da gran parte della critica contemporanea: il suo tentativo di mettere in evidenza drammatiche realtà è stato visto come un deteriore concentrato di erotismo e violenza fine a se stesso. Tra le pellicole del genere erotico-violento ricordiamo: La bestia uccide a sangue freddo (1971), Vacanze per un massacro (1980) e Razza violenta (1983).
Avere vent’anni viene definito da Antonio Tentori come un dramma erotico perché siamo di fronte a un lavoro cupo e sensuale che rappresenta un erotismo torbido e non rassicurante. Il film è datato. Vediamo la scheda tecnica. Regia di Fernando di Leo, che si occupa pure di soggetto e sceneggiatura, fotografia di Roberto Gerardi, scenografie di Francesco Cuppini, montaggio di Amedeo Giomini, musiche di Francesco Campanino. Produce Vittorio Squillante per International Daunia Film. Distribuisce Alpherat. Interpreti: Gloria Guida, Lilli Carati, Ray Lovelock, Vincenzo Crocitti, Vittorio Caprioli, Licinia Lentini, Giorgio Bracardi, Daniele Vargas, Roberto Reale, Leopoldo Mastelloni, Serena Bennato, Daniela Doria, Raul Lo Vecchio, Fernando Cerulli, Camillo Chiara, Flora Carosello, Franca Scagnetti e Cindy Leadbetter.
La storia. Si comincia con un’inquadratura di una spiaggia dove un gruppo di giovani si risveglia per affrontare un nuovo giorno. Il regista non chiarisce il ruolo di quel gruppo di persone e le immagini servono a presentarci Tina (Lilli Carati) e Lia (Gloria Guida), due belle ragazze di vent’anni che si conoscono mentre fanno il bagno in mare. In seguito capiremo che quel gruppo è una sorta di comune itinerante frequentata da Lia. Tra le due donne si instaura un buon rapporto e decidono di continuare insieme un viaggio senza meta. “Siamo giovani, belle e incazzate!” è il motto che ripetono spesso, per dire che vogliono prendere dalla vita quel che è lecito avere. Introduce alla cupa atmosfera del film la frase del romanziere e filosofo marxista Paul Nizan inserita come preambolo: “Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita”. La colonna sonora, invece, ripete ossessivamente il triste motivo come vivere vent’anni e non fa presagire niente di buono. Tina e Lia fanno l’autostop e si confidano le loro esperienze (“In quel gruppo si faceva di tutto: balli di gruppo, noia di gruppo, ma non si scopava mai!”).
A un certo punto si ferma una borghese a bordo di un’auto da trenta milioni, confessa la sua omosessualità, fa la morale alle due ragazze e finisce per elargire una modesta elemosina. Riceve una risposta sprezzante da entrambe che subito restituiscono i soldi. Le ragazze hanno appetito, si mettono a rubare generi alimentari in un supermercato (una sorta di esproprio proletario) e con l’inganno si fanno offrire un caffè da un barista. Nel magazzino il regista trova il modo di fare pubblicità indiretta ad alcune marche come Pejo, Petrus, Fernet Branca. Tutto in perfetta sintonia con il modo di fare cinema negli anni Settanta, soprattutto in produzioni povere, ma stona per la valenza sociale e di protesta contenuta nella pellicola. Surreale la sequenza in cui Lilli Carati offre un pompino al tabaccaio in cambio di un pacchetto di Marlboro mentre l’imbarazzato commerciante prima non sa cosa rispondere e subito dopo rifiuta.
Tina e Lia decidono di aggregarsi a una comune retta da uno strano individuo detto il Nazariota (Vittorio Caprioli). Incontrano Rico (Ray Lovelock), un ragazzo molto bello di cui Tina s’innamora, ma completamente fatto per uso di droghe pesanti. Interessante il personaggio interpretato da Vittorio Caprioli, una specie di santone truffatore che dice “Pace e male” quando introduce un discorso e che è sempre a caccia di denaro. “Qui si deve pagare una retta… le comuni sono una cosa superata… se non avete soldi pagherete, ci sono tanti modi per pagare…”, dice. Il regista non risparmia frecciate neppure al mondo delle comuni, in questo caso solo un modo per far soldi nelle mani di un losco individuo che accoglie le ragazze e le invita a trovarsi una sistemazione. Tina e Lia conoscono una ragazza madre che ha avuto un parto trigemellare, un individuo antipatico e fastidioso che si fa chiamare il Riccioletto (Vincenzo Crocitti) e un immobile Leopoldo Mastelloni che cerca di elevarsi verso la totale assenza di desideri terreni. Alla fine decidono di occupare la sua stanza, visto che lui dà poco fastidio.
Le due ragazze per pagare la retta vengono convinte dal Nazariota a mettere in comune i loro corpi e a fare l’amore con chi lo chiede, pure se Tina non sembra d’accordo (“Ho voglia di scopare ma con chi voglio io!”). Tina vaga per la comune in cerca di qualcuno che faccia al caso suo, ma trova soltanto gente strafatta che a tutto pensa fuorché a fare l’amore. C’è soltanto il bel Rico, anche lui drogato perso, ma ci pensa Tina a rimetterlo in sesto accarezzandolo e baciandolo a ritmo della sensuale canzone Mi piaci di Ornella Vanoni (“Mi piaci, mi piaci, mi piaci/ Dillo ancora/ Ti voglio, ti voglio, ti voglio/ Dillo ancora/ Tu mi fai volare…”). Una bella sequenza erotica che precede un’altra parte sexy che vede protagonisti due giovanotti procacciati come clienti dal Nazariota. Le ragazze dopo qualche resistenza accettano, ma restano insoddisfatte perché i due pensano soltanto al loro piacere. “Andate spesso a puttane, voi due?” domanda Tina irritata. Tina e Lia si consolano tra di loro in una scena lesbica rimasta memorabile che purtroppo in alcune versioni della pellicola è pesantemente tagliata. Il dvd rimasterizzato e messo in circolazione nell’estate 2004 presenta la versione integrale, per questo si consiglia l’acquisto. Il rapporto sessuale tra la Guida e la Carati viene sottolineato da un’altra canzone di Ornella Vanoni (“Il desiderio di avere/ il bisogno di dare…”) che accompagna baci e carezze saffiche.
Si tratta della scena che Gloria Guida, nell’intervista rilasciata a Pulici e Gomarasca per 99 Donne, confessa di non ricordare. Si riparte subito dopo con il motivetto Come vivere vent’anni – (musica e parole di Spadaccino/ Di Leo, canta da Gloria Guida -, che le disinibite protagoniste ballano in Piazza Navona e per tutta la città. L’intermezzo serve a introdurre una parte politicizzata con un regista che vorrebbe realizzare un’inchiesta sui rapporti umani e sulla libertà nella comune. Tina viene intervistata, confessa che non voleva diventare una brava donna di casa e sentiva la verginità come un peso. Non ha mai sopportato i valori borghesi e non voleva vivere in una casa dove padre e madre erano due estranei. Lia confessa che non ha mai avuto una famiglia, ha vissuto sino a tredici anni in un orfanotrofio e non conserva ricordi dell’infanzia. A sedici anni è stata assunta a servizio da una vecchia zitella che pretendeva di avere rapporti erotici con lei. Afferma di aver avuto qualche uomo ma che per lei uomo o donna non fa differenza e il sesso non è importante. Tina e Lia hanno vedute opposte. Tina considera il sesso molto importante, dice che le spetta e quindi se lo prende dove lo trova. Il regista del documentario si lascia andare a una serie di considerazioni incomprensibili a base di marxismo e psicanalisi. Vediamo una sorta di recita femminista contro l’uomo (un aborto da eliminare) eseguita alternando alcune raffinate scene erotiche con protagonisti Lilli Carati e Ray Lovelock.
Si vede chiaro come la pensa Fernando di Leo ed è evidente la critica al femminismo e agli intellettuali che mistificano la realtà. A questo punto il Nazariota affida alle ragazze un lavoro abbastanza strano per una comune: vendere enciclopedie a clienti selezionati. Tina ha vita facile con il proprietario di una macelleria e pure con un professore moralista che parla bene ma razzola male, visto che si eccita quando la ragazza finge di essere attratta da lui e da come pronuncia la parola cultura. Lia si imbatte in una lesbica (pare un destino) che offre denaro per fare l’amore. Per questo vorrebbe smettere di vendere libri, l’episodio ricorda brutte esperienze del passato. La loro carriera di venditrici termina facendo l’amore con un pensionato rimasto solo e circondato dal calore dei suoi libri. Una parte interessante. Dopo questo episodio c’è una retata della polizia nell’edificio che ospita la comune e un maresciallo da burletta come Giorgio Bracardi indaga su un traffico di droga e sull’asilo concesso a certi sovversivi. Si scopre che nella comune c’è un infiltrato della polizia pagato per spifferare tutto quel che accade. Poi è lo stesso ispettore che fa mettere finta droga nella comune per poter godere dei fondi speciali assegnati dal ministero. Il maresciallo è un borghese violento e moralista che si lascia andare a considerazioni degne di estremisti di destra della peggior specie (“I pacifisti sono i peggiori!”, “Tutta la gente che frequenta le comuni è sospetta”, “La droga è disordine”).
La critica alla polizia è netta e decisa, soprattutto per il modo “fascista” con cui vengono condotti gli interrogatori, senza alcun rispetto per le persone. Alla fine fanno le spese di tutto le due ragazze che vengono obbligate con foglio di via a rientrare ai loro paesi che si trovano nel sud Italia. Tina e Lia cominciano il viaggio con l’autostop e si fermano in una trattoria di campagna per mangiare qualcosa. Qui si apre la parte più dura e importante della pellicola, quella per cui è diventata oggetto di culto per appassionati e collezionisti. Tina e Lia cominciano a ballare in modo provocante davanti a un juke-box ed eccitano un gruppo di malintenzionati. In un primo tempo soltanto Tina si mette a ballare mentre Lia addenta un panino, poi la compagna la segue. Le ragazze vengono abbordate da due uomini che si avvicinano danzando, ma Lia per scoraggiarli colpisce uno dei malintenzionati nelle parti intime. La scena è lunga e provocante, le due amiche si baciano tra loro. Un uomo le afferra per un braccio e domanda quanto devono pagare per scopare. Tina per tutta risposta tira fuori cinquantamila lire e le getta in faccia agli uomini gridando: “Siete in dieci, fatevi una sega a testa!”. La sequenza vorrebbe esprimere quanto sia difficile per la donna nella società contemporanea manifestare spontaneamente la propria sessualità. Le due ragazze lasciano la trattoria e dopo poco vengono aggredite nella fitta boscaglia dal gruppo di delinquenti. Le sequenze finali sono di un’inaudita e realistica violenza con gli uomini che picchiano con pugni e calci, toccano, colpiscono con schiaffi al volto e strappano capelli con violenza. Alla fine denudano le ragazze e le violentano a turno. Arriva pure il capo, un energumeno impotente che odia le donne e gode nel vederle soffrire. Tina si libera dalla stretta dei violentatori e si avventa su di lui brandendo un nodoso bastone. Il capo la disarma, la colpisce con violenza e dopo averle fatto divaricare le gambe la impala con lo stesso bastone. Pure Lia viene uccisa con un colpo di bastone alla nuca. Tutto molto realistico. Quel che resta mentre campeggia la parola fine è uno spettacolo terribile di due corpi privi di vita e i poveri resti abbandonati delle loro cose. Il film è stato girato in due versioni e quella meno dura non si conclude con il massacro delle protagoniste. Il finale lieto e spensierato è quello che negli anni Ottanta abbiamo visto nei frequenti passaggi notturni sulle reti televisive private. Lo imponeva la censura e pure i risultati al botteghino della prima versione consigliarono una diversa chiusura. Resta il fatto che l’insuccesso commerciale del film va attribuito soprattutto alla carente distribuzione, tant’è vero che gli appassionati ricercano la pellicola come oggetto di culto. Abbiamo visto il finale originale e dobbiamo dire che il massacro delle due ragazze è girato con grande talento e crudezza di particolari.
Avere vent’anni è un buon lavoro, duro e crudo quanto basta, realistico e sconvolgente, girato con maestria da Fernando di Leo e ben recitato da Gloria Guida e Lilli Carati. Per quei tempi così bacchettoni rappresenta un vero pugno allo stomaco, indigeribile per palati abituati a erotismo innocuo e film rassicuranti. Le due attrici sono alla prima esperienza con una pellicola che va oltre i canoni della commedia sexy incentrata sulla bellezza dei corpi e se la cavano bene. Fernando di Leo riproduce l’atmosfera di un’Italia bigotta e intollerante, corrotta, piena di pregiudizi, antifemminista e retrograda. Sa fare un discorso politico senza essere né pesante né didascalico e giustifica bene un finale violento che tanto ha fatto discutere, ma che – a ben vedere – è dalla parte delle donne. Memorabili le scene di amore lesbico tra Gloria Guida e Lilli Carati che la Guida (intervistata da Pulici e Gomarasca) sostiene di non ricordare. Afferma che non rammenta Avere vent’anni, un film che ha rimosso. Un vero peccato: è uno dei film più interessanti della sua carriera. Vero è che se fino ad allora le nudità di Gloria Guida erano sempre state innocenti e maliziose, in questa pellicola vengono usate per dar vita a un dramma torbido e inquietante. Da ricordare la presenza di attori come Vittorio Caprioli, ottimo santone truffaldino, Giorgio Bracardi (improbabile maresciallo di polizia), Leopoldo Mastelloni (immobile e meditativo in abito da Pierrot triste). Fernando di Leo in un’intervista a Nocturno Cinema non ricorda con piacere il film. Il suo giudizio è sferzante: “La Carati e la Guida come attrici non erano attrezzate, ce la misero tutta per accontentarmi, dissero parolacce, recitarono scene erotiche tra loro e con gli uomini, ma qualcosa non carburava, mancava l’erotismo, l’ambientazione restava a livello di citazione e non si notava la trasgressione”. Secondo Fernando di Leo Avere vent’anni, pur rimontato, resta un filmetto porno-sadico che fa acqua da tutte le parti e che dice cose vecchie e risapute. Colpa di una sceneggiatura e di una regia sbagliate almeno per il cinquanta per cento, a suo dire. In realtà il maggior difetto del film consiste nella frammentarietà dei vari episodi che spesso risultano privi di un filo logico. Si pensi ai passaggi bruschi dalla prima scena in spiaggia, per arrivare alla comune, passando per la vendita di enciclopedie, per finire con la parte estrema e violenta che conclude la pellicola. Fernando di Leo è un autore di buon livello che pretende molto da quel che fa. Resta critico nei confronti di un’opera che, pur con i suoi limiti, rappresenta una pietra miliare nel cinema di genere anni Settanta. Paolo Mereghetti concede al film una stella e mezzo: “Scritto dal regista, una specie di pamphlet sulla fine dell’epoca della contestazione, tutt’altro che moralista (gli uomini ci fanno una pessima figura) ma molto al di sotto delle ambizioni. Nella comune si dà lettura dello Scum, il manifesto femminista di Valerie Solanas. Piuttosto spinto, e massacrato da censori e distributori: a partire dal finale che venne tagliato da quasi tutte le copie e sostituito con uno meno crudo”.
In Inghilterra Avere vent’anni è circolato tagliato di 15 minuti, completamente rimontato e rimusicato (Marco Giusti, Stracult). Il critico romano lo definisce in modo originale: “Sorta di Thelma e Louise del cinema alla di Leo combinato con ciò che di Leo stesso pensava fossero i nostri anni Settanta e il femminismo”. Non è convinto fino in fondo dell’operazione, perché “interpretato da due eroine dello strappa mutande del tempo” e poi “non riesce a essere sempre del tutto coerente e scade spesso nel pecoreccio comicarolo o nella folle violenza realistica dei suoi polizieschi. Di Leo cerca di fare un film serio, duro, sul tempo, con tanto di finale tragico, mostrato alla prima del film e in qualche passaggio televisivo nelle private, con le due ragazze che venivano violentate e massacrate. Finale che divenne diverso in sala, con happy end, cambiando così completamente di senso il film”.
Prima di chiudere una curiosità, nel film c’è anche un cameo di DI LEO dopo 15 minuti, è il passante che indica a Guida e Carati dov’è Piazza Dante, sede della Comune, con la sua caratteristica erre moscia… non so se in molti l’avranno notato
Gordiano Lupi
PER VEDERLO UNCUT: http://www.izlesem.org/avere-vent-anni-film-completo-uncut-parte-21.html
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