Mario Bocchio: Giornalista professionista, ama il calcio, soprattutto quello dei mitici anni Ottanta. Non disdegna la politica, anche per averla praticata attivamente. Ecco una sua interessante riflessione.
So di andare controcorrente. Ma non posso farne a meno. Per prima cosa parlano i fatti, poi – lo premetto – io non appartengo al mondo ideologico e culturale della sinistra.
Mentre tutti si stracciano le vesti, io a Umberto Eco riconosco solo il merito di aver incarnato al meglio quella presunta superiorità dei progressisti su tutti gli “altri diversi”.
In questo è stato veramente molto bravo, rinunciando sempre a capire quelle persone come il sottoscritto, che si sono posizionate a destra.
La mente torna indietro a quello storico 1994 in cui per la prima volta dal dopoguerra, la destra si affermò come forza di governo.
Ancora una volta l’Italia si divise in due – anche con toni da guerra civile -: da una parte la parte “buona”, quella della sinistra della superiorità morale.
Dall’altra – la mia parte -, quella “avida, corrotta e meschina”, ma maggioritaria. È l’Italia che guarda a destra. La prima deve per forza essere colta, amante dei salotti buoni, l’altra deve per forza essere ignorante, imbonita dalle televisioni del Cavaliere.
È stato lo stesso Eco, nel 2001 su “La Repubblica” a decretare in maniera manichea la superiorità antropologica della sinistra rispetto ad una destra che a sua volta aveva voluto dividere in due: i leghisti deliranti, gli ex fascisti e tutti coloro che hanno avuto contenziosi con la magistratura costituiscono il cosiddetto elettorato motivato.
C’è poi chi «non ha un’opinione politica definita, ma ha fondato il proprio sistema di valori sull’educazione strisciante impartita da decenni dalle televisioni, e non solo da quelle di Berlusconi. Per costoro valgono ideali di benessere materiale e una visione mitica della vita, non dissimile da quella di coloro che chiameremo genericamente i migranti albanesi». Per Eco questa parte ha costituito l’elettorato affascinato.
Come non ricordare poi i suoi continui appelli contro Berlusconi – il suo grande nemico -, lo sciopero dei consumi di prodotti delle aziende di Berlusconi, la promessa (non mantenuta) di abbandonare l’Italia (dove è sempre stato sin troppo bene) in caso di successo elettorale di Berlusconi, il paragone tra Hitler e il Cavaliere, le critiche al populismo e al fascismo strisciante di Berlusconi?
Ecco, Berlusconi è stata la sua autentica fobia, tanto da fare arrabbiare altri personaggi culturali della sinistra, come Luca Ricolfi, oppure Franco Cordelli, Erri De Luca e Gianni Vattimo, che hanno ben capito che a forza di criticarlo in realtà lo ha sempre rafforzato.
L’Eco “berlusconifobo” non ha però mai detto una parola sugli errori commessi in tutti questi anni dalla sinistra.
Mi viene in mente quella famosa intervista al “Corriere della Sera”. Ecco un passo significativo: «L’Italia nei cinque anni appena trascorsi si è messa sulla strada del declino. Se andiamo avanti così diventiamo definitivamente un Paese da terzo mondo. Figurarsi se di fronte a un tale rischio mi metto a parlare della barca di D’Alema».
Ecco perché non mi sento di incensare Umberto Eco, autentico padre di quello che Marcello Veneziani ha ben definitivo il «razzismo etico», di quella sinistra che non sbaglia mai e che è sempre dalla parte del giusto.
Un’ultima riflessione la voglio dedicare all’Eco alessandrino. In questi giorni ho letto tante cose scritte su di lui, per cui mi viene spontanea una domanda: a parte il fatto di essere nato in riva al Tanaro e di aver studiato al liceo Plana, che cosa ha mai fatto di concreto Umberto Eco per Alessandria? Qualcuno vuole spiegarlo ad un “ignorante” – perché elettore motivato – come me?
Certo è che se la mia Alessandria si attacca al ricordo di Eco per ricercare prestigio, è veramente caduta in basso!
Io preferisco certamente identificare Alessandria con un personaggio come Teresio Borsalino, piuttosto che con Eco, uno dei padri nobili di quello snobismo che è poi l’anima profonda di chi è radical chic.
Mario Bocchio
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