Jana (Francesca Pellegrini), Maya (Dani Tonks), Sara (Giulia Martina Faggioni), Emily (Anna Butterworth) e Hellen (Esperalda Spadea), cresciute insieme in un orfanotrofio e legate da un patto di amicizia per la vita, decidono di riunirsi per una vacanza. L’obiettivo è quello di aiutare Jana a superare il trauma di avere un gemello parassita che cresce nel suo corpo.
Il luogo dell’incontro, una meravigliosa isola, forse, deserta. Tra fanghi, acqua termale e uno splendido paesaggio italiano, le cinque amiche trascorrono il tempo in un relax che è destinato a finire quando una di loro, Hellen, sparisce nel nulla senza lasciare traccia e le altre si trovano bloccate sull’isola senza possibilità di fuga. Le superstiti scoprono presto di non essere sole. Sull’isola, con loro, si aggira la misteriosa figura di Doris (Doris Knight) che spinge Jana a sacrificare, una ad una, le sue amiche.
Se si dovesse valutare il film esclusivamente per la sua fotografia, Parasitic twin sarebbe un lavoro vincente, fosse solo per la sua capacità di esaltare ogni particolare di corpi e natura. E questo non sorprende se si pensa che il lungometraggio vanta il nome del grande direttore di fotografia Claudio Zamarion. Meno riuscito è, invece, il risultato, se si guarda al film, la cui regia è affidata sempre a Zamarion, nella sua complessità. Liberamente ispirato a un fatto realmente accaduto, Parasitic twin è un thriller/horror che manca delle caratteristiche basilari del genere.
Aggrovigliata in una struttura troppo complessa, legata all’immagine più che alla sostanza, la storia procede senza mai un attimo di tensione e suspense. Ci si perde, invece, in una quantità infinita di elementi ed espedienti che confondo e lasciano disorientati.
Tra momenti di erotismo lesbo forzato, figure (come Doris) che non sembrano trovare un vero posto nella narrazione e la stessa idea del gemello parassita del titolo che non manifesta, poi, un vero senso nell’economia della storia, non si capisce dove il film voglia davvero andare a parare. Piuttosto, novanta minuti dietro un apparente nonsense senza fine diventano lunghissimi, eccessivi e noiosi. Ai titoli di coda, si lascia la sala con la sensazione di aver visto una pellicola, bellissima in potenza, ma, purtroppo, malriuscita nella pratica.
Valeria Gaetano
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