Presso l’edizione 2017 della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia ha riscosso, giustamente, non pochi consensi.
Manuel racconta la storia del giovane suggerito dal titolo, interpretato da un Andrea Lattanzi che sembrerebbe essere una promessa per il futuro del cinema italiano.
Un giovane che, alla vigilia del suo diciottesimo compleanno, abbandona il centro di accoglienza dove era finito a vivere dopo che sua madre Veronica, ovvero Francesca Antonelli, era stata arrestata.
E, una volta fuori dal centro, deve cavarsela da solo, trovare un lavoro e dimostrare alle autorità che in grado di garantire una situazione economica stabile per accogliere la genitrice agli arresti domiciliari, suo obiettivo primario.
Dopo tanti documentari, quindi, è questo il primo lungometraggio di finzione diretto da Dario Albertini, che ci porta con lunghissimi primi piani del protagonista dentro la periferia di Ostia. Una scenografia fatta di case vere, fatiscenti come quelle del litorale romano, che, purtroppo, ancora oggi troviamo in qualità di città balneare ferma sotto certi aspetti ai lontani anni Settanta di pasoliniana memoria, con tutti i problemi resi famosi anche dalla cronaca legata a mafia capitale.
La scelta di tenere sempre la macchina da presa su Manuel, con la quasi totale assenza di campi e controcampi, è decisamente coraggiosa.
Perché è lui il protagonista assoluto di questa storia molto vera, per la quale possiamo tirare in ballo tanti paragoni, dal Neorealismo al fatto che lo stesso Lattanzi ricorda i ragazzi dei film pasoliniani.
Ma, al di là dei paragoni e delle citazioni, Manuel rimane un’operazione molto forte ed efficace nella sua semplicità e nella sua storia reale.
Albertini si prende i suoi rischi nel confezionare una tale opera prima, ma riesce perfettamente nel suo intento, e Lattanzi rappresenta, forse, l’attore più vero, che ci ricorda quelli che, nel passato, hanno reso grande il cinema italiano, facendolo conoscere nel resto del mondo.
Roberto Leofrigio
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