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Lucky Red celebra Woody Allen in alta definizione

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Il suo nome è sinonimo di risata sofisticata, incentivo di un cinema che non riesce mai a tramontare e che mai, soprattutto grazie a lui, tramonterà.

Stiamo parlando del leggendario Woody Allen, regista e sceneggiatore icona di una certa ironia ebraico newyorkese e che non ha certo bisogno di presentazioni.

Il suo seguito, le sue opere e i suoi risultati hanno sempre portato al di sopra della media qualsiasi tipo di storia, qualsiasi tipo di trama, ognuna delle quali vive di propria aurea sarcastica, ricca di sfaccettature e battute folgoranti.

Che si tratti di celebrità o di caratteristi di forte presa, a Hollywood tutti hanno lavorato per lui (rigorosamente apparendo in ordine alfabetico), perché Allen ha sempre significato, innanzitutto, “importanza nella messa in scena”, un forte gioco di ruoli tra interpreti e personaggi, i quali mai si sono distaccati dalla precisione degli script stesi dalla penna del noto regista (vincitore di quattro premi Oscar, uno per la regia e la sceneggiatura di Io e Annie, altri due per i copioni di Hannah e le sue sorelle e Midnight in Paris).

Per celebrarne la carriera, Lucky Red edita in blu-ray cinque suoi titoli appartenenti al periodo che va dagli anni Novanta all’inizio del XXI secolo.

 

Pallottole su Broadway (1994)

In una New York degli anni Venti, ricca di luci e colori, sullo sfondo di una vita criminale imperante tra  strade e sobborghi, un giovane commediografo, David Shayne (John Cusack), è alle prese con una piena crisi professionale, considerando che non riesce a sentirsi compreso dall’ambiente in cui lavora.

Fino al giorno in cui gli si presenta un’occasione d’oro: la possibilità di realizzare un suo copione, grazie all’interesse di un potente boss malavitoso, Nick Valenti (Joe Vitarelli). L’unica condizione è che dovrà recitare nell’opera anche la giovane amante di quest’ultimo, ovvero l’oca Olive Neal (Jennifer Tilly), mediocre artista che vorrebbe calcare le scene del teatro.

Una condizione che lo costringe ad accettare, con le tragicomiche conseguenze del caso; mentre, durante l’allestimento dello spettacolo, il contributo del mafioso Cheech (Chazz Palmimteri), guardia del corpo di Olive, si rivela fondamentale, in quanto i suoi suggerimenti porteranno qualcosa in più allo scritto di Shayne.

Una pellicola tramite cui il genio newyorkese, giocando con la nostalgia, azzarda ad una storia che guarda al teatro di una volta, strizzando l’occhio a quello che si rivela essere un divertente riferimento ai ruoli di interprete ed autore, l’uno sovrastato dall’altro. Il tutto, deridendo alla grande un argomento che al buon Woody è sempre piaciuto sfottere, ovvero il mondo della malavita (succede anche nel recente La ruota delle meraviglie).

Completano il cast Jim Broadbent, Harvey Fierstein, Mary-Louise Parker, Rob Reiner, Tracey Ullman, Jack Warden e Dianne Wiest, quest’ultima insignita del premio Oscar come miglior attrice non protagonista (il primo lo vinse per Hannah e le sue sorelle). Altre sei nomination andarono alla regia, allo script, che Allen stese assieme a Douglas McGrath, ai non protagonisti Palminteri e Tilly, alle scenografie e ai costumi.

 

La dea dell’amore (1995)

Stavolta abbiamo una commedia dai toni agrodolci che parte da uno spunto prettamente teatrale, aprendo le danze con un coro greco che annuncia la trama di questa nuova pellicola alleniana. È la storia di una coppia di New York, Lenny (Allen) e Amanda (Helena Bonham Carter), legata da anni ma con un vuoto da colmare, ovvero la presenza di un figlio.

Visto che non riescono ad averne uno tutto loro, decidono di adottarlo, coronando l’agognato desiderio di allargare la propria famiglia.

Il tempo passa e Lenny, un giorno, decide di voler scoprire assolutamente chi sia la madre biologica del piccolo, attuando una ricerca che lo conduce verso una scoperta sconcertante: lei è una prostituta di nome Linda Ash (Mira Sorvino) e, in più, recita in pellicole pornografiche.

Una rivelazione dinanzi a cui Lenny non può fare altro che cercare di convincere la vera madre di suo figlio a tornare sulla retta via, anche se l’esperienza lo porterà al cospetto di una serie di spiacevoli disavventure e scelte sorprendenti.

Capace di trattare argomenti cari ad una commedia pecoreccia (il cinema hard, appunto, e il suo colorito modo di parlare) con fare sagace e originale, Allen sbalordisce narrando questa vicenda di famiglia allargata con estro e ricchezza di trovate dagli echi geniali, anche appartenenti alla storia del teatro (la dice lunga il coinvolgimento di un coro greco nell’intero contesto).

La Sorvino vinse un premio Oscar come miglior attrice non protagonista, mentre completano il cast F.Murray Abraham, Claire Bloom, Olimpia Dukakis, Michael Rapaport, David Ogden Stiers, Jack Warden e Peter Weller.

 

Tutti dicono I love you (1996)

E venne per Allen anche il momento di cimentarsi nel genere musical, sfoggiando tutto il suo sapere cinematografico in riguardo, tra battute ed armoniose melodie di alcune canzoni a lui care.

Tra un ballo e l’altro, la storia stavolta è quella di una famiglia allargata di New York composta da mamma Steffi (Goldie Hawn) e papà Bob (Alan Alda), due persone al loro secondo matrimonio, con al cospetto i cinque figli DJ (Natasha Lyonne), Laura (Natalie Portman), Lane (Gaby Hoffman), Scott (Lukas Haas) e Skylar (Drew Barrymore).

Un nucleo in mezzo a cui si smuovono diverse situazioni personali e sentimentali, ricche di sfaccettature e soluzioni al limite del possibile, come anche l’arrivo dell’ex-marito di Steffi, lo scrittore Joe (Allen), uomo ad un bivio esistenziale ed alla ricerca di qualcosa che possa finalmente rilassarlo. La sua scelta cade sulla bella Von (Julia Roberts).

Con inarrestabile capacità di spaziare nell’ironia, il grande Woody trasporta il racconto di location in location, spostandosi dai grandi palazzi delle scenografie newyorkesi alle lagune di Venezia, con puntatine a Parigi.

Una pellicola che rappresenta un’ulteriore passo avanti per il noto regista, il quale permette ai suoi interpreti di cimentarsi in siparietti musicali, lasciando cantare loro pezzi armoniosi come Just you, just me, My baby just cares for me, I’m thru with love, Cuddle up a little closer e If I had you.

C’è sentimento e gioco del destino qui, vi sono i soliti elementi tipici del cinema alleniano, che non mancano di arricchire del sano buon senso dell’umorismo, stavolta ballando e cantando.

Completano il cast David Odgen Stiers e Tim Roth.

 

Celebrity (1998)

Uomo preso da indecisioni esistenziali, il giornalista Lee Simon (Kenneth Branagh) vede la sua vita cambiare di punto in bianco, innanzitutto divorziando dalla moglie Robin (Judy Davis). Ed è da qui che cerca di farsi un futuro e proseguire la sua professione stando dietro a modelle ed attori, artisti dall’alto ego e situazioni al di là dell’inverosimile, come quella che lo vede coinvolto nella camera d’albergo di un giovane divo, Brandon Darrow (Leonardo DiCaprio).

Del resto, è noto a molti come Allen parli spesso del mondo dello star system, di cosa smuova le ruote del successo e le persone che lo popolano, con tutti i loro pregi (pochi) e difetti (molti).

Quindi, sparge di dolce veleno ogni fotogramma riguardante tutto quello che questa pellicola intende raccontare, tra personaggi singolari e momenti di humour graffiante, ricorrendo ad un nitido bianco e nero curato dal maestro delle luci Sven Nykvist (sodale del cinema di Ingmar Bergman, vincitore dell’ Oscar per Sussurri e grida e Fanny & Alexander).

Come da titolo, inoltre, una messe di nomi forti a completare il cast, in quanto troviamo anche Hank Azaria, Melanie Griffith, Famke Janssen, Michael Lerner, Joe Mantegna, Bebe Neuwirth e Charlize Theron.

Ciliegina sulla torta, infine, l’apparizione dell’attuale Presidente degli Stati Uniti Donald Trump nei panni di se stesso.

 

Criminali da strapazzo (2000)

Se c’è una cosa che veramente non è mai mancata nel cinema di Allen è il senso del citazionismo.

Perché, nel visionare questa pellicola, non può non tornare alla memoria il capolavoro tricolore I soliti ignoti di Mario Monicelli.

In maniera analoga, infatti, il protagonista è qui l’ex galeotto Ray (Allen), uomo sposato da anni con  Frenchy (Tracey Ullman), al quale viene in mente l’idea folgorante di mettere a segno un fruttuoso colpo ai danni di una banca.

Il piano prevede di prendere in affitto un negozio non lontano dal caveau dello stabile e di scavare, poi, un tunnel che sbuchi nella zona dei valori; copertura, per l’occasione, è un’attività di fabbricazione di biscotti, cucinati da Frenchy stessa.

Ma, mentre l’azione criminale sembra andare peggiorando sempre più, la cosiddetta “copertura” si rivela essere un vero e proprio successo, inanellando una serie infinita di clienti.

Un lungometraggio che, per il regista, è un po’ come tornare agli inizi, quando si occupava di commedie più dirette e di puro intrattenimento, non solo grazie a battute fulminanti, ma anche tramite gag slapstick, memori del miglior cinema muto che fu.

Quindi, al di là del citato spunto monicelliano, il film prende la sua strada verso un proprio discorso, da puro cinema di “evasione” ad accurata analisi sociale, sfoggiando nella seconda parte uno scontro di ideali tra proletariato e upper class, come solo l’autore di Manhattan è in grado di fare.

Elaine May, Michael Rapaport, Tony Darrow, Jon Lovitz e Hugh Grant completano il cast.

Mirko Lomuscio

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