Elettra è lo spettacolo di Hugo von Hofmannsthal che indaga il mondo interiore della psiche, portato in scena al Vittoria di Roma da Giuliano Scarpinato.
Da Sofocle a von Hofmannsthal
Spettacolo vincitore dell’ottava edizione della rassegna Salviamo i talenti – Premio Attilio Corsini, Elettra ha debuttato il 18 maggio al Teatro Vittoria di Roma con una affettuosa accoglienza di pubblico. L’iniziativa di questa rassegna è nata negli ultimi anni per promuovere progetti di qualità e soprattutto per dare un’opportunità di visibilità a giovani attori e giovani registi. Elettra è un atto unico scritto da Hugo von Hofmannsthal tra il 1901 e il 1903 ed è stato rappresentato per la prima volta nel 1903 a Berlino da Max Reinhardt. Il personaggio ha preso spunto dall’Elettra di Sofocle ed era dedicato a Eleonora Duse, che però non ha impersonato mai quel ruolo. Il progetto ripreso da Giuliano Scarpinato è davvero ambizioso perché von Hofmannsthal è stato un anticipatore della modernità letteraria e in quest’opera indaga il mondo interiore della psiche attraverso figure private della loro originaria connotazione mitica e rese funzionali per scavare nell’inconscio e nell’io, ancora tanto da approfondire all’epoca grazie all’apporto di Sigmund Freud e della psicoanalisi.
Elettra e la sua disperazione
In questa rappresentazione alquanto atemporale (per la poliedricità dei costumi e per la scenografia) l’azione cambia ambientazione e da un angusto cortile sul retro del palazzo degli Atridi a Micene, si sposta in una sala con al centro un tavolone bianco che occupa la scena, a cui siedono l’amante Egisto (Giuliano Scarpinato) – un incrocio tra un re ridicolo e un sadico caligoliano – e, ben distante, Clitennestra (Elena Aimone) – tra l’austero e il faceto -, sotto lo sguardo tra l’atterrito e il divertito di tre cameriere pronte a servire e un musico Aio (Elio D’Alessandro), seduto in disparte con la sua chitarra. Anche stavolta sono passati molti anni da quando la coppia ha ucciso a tradimento il marito di lei, Agamennone, da quando il figlio Oreste (Raffaele Musella), dato ormai per morto, è stato allontanato dal palazzo, e nell’aria aleggia un senso di disperazione se non di follia, mentre resta tuttavia la presenza ingombrante dell’uccisione di Agamennone e la figura di Elettra che è richiamata spesso, neanche facesse da collante necessario di tutto il dolore che incombe. Ma la disperazione e la follia entrano prepotentemente in scena con la figlia Elettra (Giulia Rupi) costretta a una vita di umiliazioni e percosse nella casa degli assassini, “vive e non vive”, vivendo una riconciliazione non possibile e una resistenza al lutto con atteggiamenti animaleschi, mostrando senza vergogna sul suo corpo i segni del tempo che fugge inesorabile, ma resta soprattutto come un fantasma accusatore della madre, che viene incolpata dell’assassinio di Agamennone. Attraverso contorcimenti, rotolamenti a terra e urla disperate, testimonia la brutale condizione in cui versa e l’odio generato in lei dal male subito. E in questa casa del lutto e della colpa, Elettra non riesce mai a staccarsi dal dolore che prova, nemmeno grazie alla giovane sorella Crisotemi (Eleonora Tata) che, a differenza di lei, vorrebbe dimenticare, vivere e provare a essere felice, diventando moglie e madre; tantomeno la tormentata Clitennestra, che da lei cerca conforto da una vita d’angoscia e di paura. E una sera ricompare dall’ombra (come un novello Ulisse) Oreste, tornato per la sua vendetta come nel sogno di Clitennestra che le ha predetto che cadrà per mano sua. E come in un sogno sembra compiersi la vendetta…
Un thriller dell’anima
Nell’opera di Hofmannsthal c’è lo spaccato della devastazione della psiche della protagonista distrutta dall’odio, un odio che, a sua volta, trasforma la vittima in carnefice, costituendo il vero dramma umano al centro dell’opera e riveste questo dramma di suggestive immagini metaforiche. Invece a Scarpinato sembra un po’ sfuggire questa intenzione e si sofferma più su Elettra e sulla sintomatologia tipica dei disturbi isterici studiati in quegli anni da Freud, mettendola talmente al centro di tutto che la pur importante figura dell’assassina di Agamennone sbiadisce, mostrando non a sufficienza il tormento senza tregua che la debilita emotivamente. L’intenzione dichiarata del regista è “Pugno nello stomaco, lama che affonda”: quasi una travolgente successione di inquadrature cinematografiche, un “thriller dell’anima” dal ritmo incalzante e forsennato. Invece a volte queste intenzioni si trasformano più in un “sussurri e grida” di un doppio sogno.
Abbiamo visto Elettra di Hugo von Hofmannsthal per la regia di Giuliano Scarpinato, in scena fino al 28 maggio al Teatro Vittoria di Roma.
Voto: 6,5
di Domenico Astuti
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