”Tommy Tilden, patologo, esegue autopsie e suo figlio Austin, tecnico medico, gli fa da aiutante assistendolo. Una notte, arriva all’obitorio il corpo di una donna non identificata. Esso è stato ritrovato sepolto nel seminterrato di una casa dove è avvenuto uno strano omicidio. Tutto nella norma, se solo il corpo non fosse… singolare.”
Nuovissimo horror diretto da André Øvredal, è il primo film girato in lingua inglese dal regista norvegese.
Grazie a una buona fotografia, una buona recitazione e favolosi effetti speciali, il prodotto può ritenersi più che riuscito. Originale, per nulla banale, André ci porta una storia nuova, che, seppur concludendosi non nel migliore dei modi sia visivamente che psicologicamente parlando, è da promuovere.
Tutto non sarebbe stato lo stesso senza l’interpretazione strabiliante di Olwen Kelly, modella, nei panni della nostra Jane Doe. Ella, infatti, non solo è esteticamente più che graziosa, ma riesce col suo pallore e da inerme, ad arrecare sensazioni conturbanti allo spettatore, come se quel corpo morto ti guardasse davvero dentro, come se ti parlasse.
Perché Jane Doe ti parla, racconta una narrazione molto più antica dell’era in cui viene sottoposta all’autopsia.
Perché Jane Doe non è quello che sembra.
Non è facile ambientare un film in un solo luogo, tra quattro mura, ma Øvredal ci riesce e pure bene, mettendo tutti gli ingredienti al punto giusto e deliziando lo spettatore con delle scene di autopsia affascinanti, orrifiche e di classe.
Non un capolavoro ma più che sufficiente: una piacevole sorpresa in un panorama horror dove ormai vengono diretti solo prodotti dozzinali e marginali.
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