Dopo l’anteprima italiana al festival di Giffoni, Rara (Una strana famiglia) è stato presentato il 5 ottobre scorso alla Casa Internazionale delle Donne di Roma, a seguire c’è stato un interessante dibattito sulla “stepchild adoption” e sui diritti delle coppie omogenitoriali, alcuni dei temi affrontati dal film.
Primo lungometraggio della regista cilena Pepa San Martin, Rara (nelle sale dal 13 ottobre distribuito da Nomad Film) ha già ottenuto diversi riconoscimenti importanti come il “Premio Miglior Film” all’interno della sezione Generation Kplus International Jury del Festival di Berlino, il “Premio Sebastiane Latino” e il “Premio Horizontes Latinos” al Festival di San Sebastian e infine due premi al Queer Lisboa – International Queer Film Festival di Lisbona, il “Premio Miglior attrice” a Julia Lübbert e il “Premio del Pubblico” per il Miglior Lungometraggio.
Basato su una storia vera, scritta in collaborazione con la regista cilena Alicia Scherson, il film racconta la storia di Sara (Julia Lubbert), una bambina che vive con sua madre Paula (Mariana Loyola), sua sorella Cata (Emilia Ossandon) e la moglie di sua madre Lia (Agustina Munoz). La vita e la quotidianità di Sara sono felici e spensierate fino all’arrivo dell’adolescenza, quando i confronti con le altre famiglie “normali” sollevano una serie di problemi e soprattutto quando il padre Victor (Daniel Munoz) tenta di ottenere dal tribunale la custodia delle due figlie naturali.
Il film conduce nel tema delle famiglie arcobaleno anche senza occuparsi direttamente di omogenitorialità ma piuttosto della crisi delle adolescenti e la regista riesce con “rara” leggerezza e sensibilità a dimostrare che due bambine che crescono in una famiglia con due genitori dello stesso sesso (in questo caso due donne) hanno le stesse problematiche delle famiglie con genitori di sesso diverso. Il pregio del film è quello di far apparire tutto questo perfettamente “normale”, attraverso gli occhi della bambina che non ha pregiudizi di sorta e osserva con naturalezza e stupore infantile quanto accade intorno a lei, in modo del tutto pacato e incorrotto, senza slogan o dichiarazioni forti dal punto di vista politico e sociale.
Al dibattito che ha seguito la proiezione moderato dalla giornalista Angela Prudenzi sono intervenuti la Senatrice Monica Cirinnà, la Presidente Famiglie Arcobaleno Marilena Grassadonia e il Presidente del Circolo di Cultura omosessuale Mario Mieli Mario Colamarino. Quelle narrate nel film sono storie che si vivono nella realtà di tutti i giorni, in tutte le coppie dove anche un solo genitore è omosessuale e uno dei due ha avuto dei figli da precedenti relazioni eterosessuali o bisessuali. Le famiglie arcobaleno sono famiglie come tutte le altre ma il conflitto tra genitori e figli può arrivare al punto da voler eliminare il rapporto tra il figlio e il genitore sociale. Finalmente anche la Corte di Cassazione ha riconosciuto (con la sentenza 19599 del 21 giugno 2016) che è trascrivibile l’atto di nascita formato all’estero, dal quale risulti che il minore è figlio di due madri (vd. http://www.articolo29.it/). Le dinamiche delle famiglie sono le stesse, forse nelle coppie omogenitoriali non si sente dire che “il terzo figlio non lo volevo, è capitato”, perché nelle coppie etero viene dato spesso per scontato essere genitori, al contrario delle coppie omosex. Molte delle tragedie che leggiamo quotidianamente (per ultima quella del bambino di 11 anni a Maccarese che forse si è tolto la vita) non accadono nelle famiglie omogenitoriali. La famiglia tradizionale non è sana, è una questione statistica e di numeri. Il film è interessante anche in un’ottica di dibattito che dovrebbe essere fatto nelle scuole.
Il padre eterosessuale è di solito molto superficiale, mentre le donne sono più profonde e ricercate. Imma Battaglia rivendica la differenza delle coppie dello stesso sesso rispetto a quelle etero. In Italia questo è un fenomeno relativamente nuovo quindi i figli di coppie omogenitoriali sono ancora molto giovani. Da femminista è interessata alla possibilità che una coppia omosessuale possa accedere all’adozione di tanti bambini che hanno perso i genitori in questi viaggi della speranza. C’è l’idea che le donne siano più in grado degli uomini di fare i genitori, due mamme (come quelle del film) fanno meno paura alla società rispetto a due padri, ci sono molti pregiudizi verso i genitori gay uomini, come fa notare il Presidente del Mario Mieli. Siamo ancora lontani dall’uguaglianza, il lavoro culturale va fatto anche nelle scuole, dove passa l’idea che la mamma sia più affidabile del papà. C’è molto da fare anche per il riconoscimento dell’amore tra donne. Imma Battaglia osserva che non esiste famiglia senza la lotta al precariato, la povertà e la crisi economica sono un dato di fatto, quando si passa da uno stato di negazione delle coppie gay al riconoscimento delle coppie omogenitoriali si deve lottare per la stabilità economica, casa e lavoro sono i requisiti base per costruire una famiglia.
Il femminismo ha insegnato che una donna se vuole un figlio lo può fare da sola, ma allora se anche le donne etero possono fare dei figli da sole cosa ne sarà dei maschi etero? Il riconoscimento delle maestre verso il ruolo del padre (sia etero che gay) è importante, si deve lavorare molto sull’immaginario collettivo, spesso chi giudica superficialmente non ha mai conosciuto una coppia di genitori dello stesso sesso. C’è una paura molto diffusa che il padre naturale possa togliere i figli alla madre omosessuale che viene da una precedente relazione, come avviene nel film. Una donna che lascia il marito per andare a vivere con un’altra donna fa ancora scandalo, a differenza dell’uomo che lascia la moglie (vd. anche il recente squallido dibattito al Grande Fratello). L’essere padre o madre non è legato alla genetica fa notare Imma Battaglia, che si sente di fare il padre e non la madre. Un uomo non può decidere di avere un figlio da solo quindi le adozioni dovrebbero essere aperte anche ai single, c’è una forte domanda di genitorialità, mentre solo il 3% delle coppie davanti al fallimento di avere un figlio si rivolge all’adozione. La maggior parte degli etero considera i gay sterili e non prende nemmeno in considerazione la possibilità che possano avere figli.
Monica Cirinnà sa di non aver fatto la migliore legge possibile (la n. 76 del 20 maggio 2016 sulle Unioni Civili che porta il suo nome) ma è quella che si poteva fare con questo Parlamento medievale che abbiamo in Italia (clericale, bigotto e retrogrado, pensiamo anche alle ultime dichiarazioni di Papa Francesco sul “gender nemico del matrimonio”). La “stepchild adoption” si è portata dietro il concetto di “utero in affitto” mentre il concetto che deve passare è quello del matrimonio egualitario. In Italia esistono bambini che hanno tre genitori, con il consenso del padre naturale si può avere l’adozione. Il legislatore deve rispondere alle domande che vengono dalla cittadinanza, secondo la Costituzione, che si evolve come la società, e il Parlamento deve rendere questi diritti “viventi” accogliendo le nuove istanze di uomini e donne.
Alessandro Sgritta
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