E così fra i due litiganti il terzo gode e ne esce fuori un autentico suicidio. C’era infatti grande attesa per sapere quale film sarebbe stato designato per rappresentare l’Italia agli Oscar 2017 nella categoria Miglior film in lingua straniera. I titoli nella shortlist erano sette con alcuni inseriti solo per fare numero, come Pericle il nero e Gli ultimi saranno ultimi, altri perché comunque meritevoli, come Suburra e Indivisibili, uno perché vincitore a Berlino, Fuocoammare di Gianfranco Rosi, e infine i due crack della stagione, i premiatissimi Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti e il tagliente Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese. Assente a sorpresa La pazza gioia di Paolo Virzì, terzo grande successo stagionale di pubblico e di critica.
Tutto lasciava quindi presupporre l’ennesimo testa a testa tra la commedia Perfetti sconosciuti e il fumettone Lo chiamavano Jeeg Robot, due generi di solito non presi in considerazione dalle alte sfere. E invece tra i due litiganti il terzo, appunto, gode. Infatti la commissione designata dall’Anica, composta da Nicola Borrelli (direttore generale cinema del Ministero per i Beni e le Attività culturali), Tilde Corsi (produttrice), Osvaldo De Santis (distributore), Piera Detassis (giornalista), Enrico Magrelli (giornalista), Francesco Melzi D’Eril (distributore), Roberto Sessa (produttore), Paolo Sorrentino (regista), Sandro Veronesi (scrittore), dopo una riunione che non ha trovato unanimità nella scelta ma anzi un’autentica spaccatura (votazione finita 5 a 4), ha deciso di compiere un vero e proprio suicidio designando Fuocoammare, il docu-film di Gianfranco Rosi, sulla scia dell’Orso d’Oro vinto al Festival di Berlino. E alcuni membri della commissione, in primis Sorrentino, se ne sono giustamente lamentati: «Un masochistico depotenziamento del cinema italiano che poteva portare due film invece di uno» l’ha giustamente definito il regista de La grande bellezza.
Ma perché un suicidio, vi starete chiedendo. La risposta è semplice e la storia insegna. Innanzitutto Fuocoammare non è un film ma un documentario che racconta l’isola di Lampedusa, ormai divenuta da oltre 20 anni approdo di barconi di migranti disperati, focalizzandosi sulla storia del piccolo Samuele e della sua famiglia che affronta la quotidianità di un’isola perennemente in emergenza. A differenza dei Festival però, dove per il Leone d’Oro piuttosto che per l’Orso di Berlino o la Palma di Cannes concorrono sia film che non, l’Academy ha già un’apposita sezione per i documentari (dove probabilmente potremmo vedere inserito quello di Rosi). Di conseguenza candidare Fuocoammare per il miglior film in lingua straniera è un inutile doppione ed equivale a bruciare la possibile nomination per la categoria che tante gioie ha regalato all’Italia, da De Sica a Fellini, fino a Sorrentino. E queste non sono supposizioni, ma ce lo insegna la storia. Infatti se andiamo a recuperare le cinquine degli ultimi 10 anni, su 50 film troviamo un solo documentario (The missing picture nel 2014, tra l’altro misto ) per di più neanche vincitore. Uno in dieci anni, uno su cinquanta! Basterebbe già questo a far capire quanto assurda sia stata la scelta della commissione Anica.
Inoltre, una scriteriata operazione similare era stata già tentata quattro anni fa con Cesare deve morire dei fratelli Taviani: anche il loro documentario carcerario, come quello di Rosi, si era aggiudicato l’Orso d’Oro al Festival di Berlino ed era stato quindi proposto come candidato italiano agli Oscar. Risultato? Non solo fu snobbato dall’Academy non ricevendo la nomination, ma addirittura non entrò neanche nella shortlist dei nove da cui poi fu designata la cinquina finale. A quanto pare però i signori della commissione questo precedente non lo hanno tenuto minimamente in considerazione e quando sono state chieste spiegazioni il pur bravo Enrico Magrelli ha risposto laconicamente: «Anche l’Ucraina ha designato un documentario. Penso che l’Academy possa comportarsi come fanno molti altri Festival che mettono nella stessa sezione doc e fiction». Dispiace doverlo dire, ma questa dichiarazione non è neanche lontanamente convincente. In primis perché basarsi su ciò che fa l’Ucraina (l’Ucraina!!!), dove con la situazione politica e la guerra non si sono girati chissà quanti film né tantomeno di qualità, fa veramente sorridere. E poi perché sperare di cambiare le decennali abitudini dell’Academy auspicando l’uniformarsi ai festival è pura utopia, proprio perché come detto c’è già una sezione per il miglior documentario (anzi ce ne sono addirittura due, una per i lunghi e una per i corti), e non avrebbe quindi alcun senso che ad Hollywood ragionassero come a Venezia o a Cannes.
Auspichiamo quindi che l’Anica, per conto della quale la commissione ha deciso, renda pubblici i dati della votazione, così da capire cosa abbia portato ad una candidatura così scriteriata. In sostanza i votanti (o almeno una parte di essi) non hanno avuto il coraggio di dare una sterzata e candidare un film di genere come Jeeg Robot o una commedia come Perfetti sconosciuti, e questo fa pensare una volta di più che forse sia arrivato il momento di un ricambio generazionale in chi critica e soprattutto in chi decide. L’augurio è ovviamente che Fuocoammare vinca l’Oscar nella categoria Miglior film in lingua straniera ma, se così non dovesse essere, chiediamo a gran voce che dopo l’harakiri i membri della suddetta commissione facciano un passo indietro, lasciando ad altri il compito di scegliere il film italiano da candidare agli Oscar 2018, già a metà dicembre se il doc di Rosi non dovesse entrare nella shorlist dei nove.
Ivan Zingariello
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