Dal 1970 al 1977, l’horror italiano ha avuto una moda peculiare sui propri titoli di film, ovvero quella di collegarli indirettamente, in modo metaforico, ai nomi degli animali. Tutto nacque dal nostrano maestro Dario Argento che dal 1970 al 1971 deliziò il cinema con il suo esordio giallo/thriller: la trilogia degli animali.
Il primo lavoro di Argento è l’esordiente e astuto ”L’uccello dalle piume di cristallo”, un giallo/thriller a tinte romantiche, avente la colonna sonora composta dal supremo Ennio Morricone come nei due film successivi e ispirato al romanzo ”La statua che urla”.
Sam Dalmas è un americano che sta per ripartire per il suo paese, quando una sera assiste ad una colluttazione tra una donna e una figura indistinta, che la accoltella e scappa via. Il commissario e gli altri capiranno poi che l’aggressore, probabilmente, è lo stesso che ha ammazzato nell’ultimo periodo tre giovani: si tratta quindi, di un serial killer. Sam da qui, comincerà a mettersi sulle tracce dell’assassino iniziando una vera e propria investigazione, pur se qualcuno attenta alla sua vita più volte, fino a spingersi troppo oltre.
L’uccello dalle piume di cristallo, qui, lo troviamo fisicamente e non come una metafora: l’animale, infatti, nella pellicola è il punto più importante, la chiave per risolvere il caso. Argento qui esordisce con un vero capolavoro di genere, non facilmente dimenticabile.
Secondo capitolo della Trilogia degli animali, ”Il gatto a nove code” è un puro giallo in stile argentiano.
Uno scienziato muore accidentalmente sotto un treno sotto agli occhi di tutti. Un enigmista, ex giornalista, con la nipotina decide di contattare il giornalista Carlo Giordani per chiedergli di esaminare bene la foto che ritraeva la scena della morte dell’uomo, scattata da un fotografo sul posto. Si scopre, infatti, che l’uomo è stato spinto da un braccio non identificato. Da qui, l’enigmista Franco Arnò e Carlo Giordani, cominciano ad indagare. La morte, infatti, sembra legata ad un’infiltrazione avvenuta nell’istituto dove la vittima lavorava. Alla vicenda, si mescoleranno dei feroci omicidi avvenuti per mano di un omicida, probabilmente lo stesso che ha ucciso lo scienziato.
”Nove vie da seguire, un gatto a nove code”. E’ questo il legame tra la metafora animale e lo svolgimento della vicenda.
”Il gatto a nove code” è un prodotto buono, originale, incalzante e puramente giallo che conferma Dario Argento come uno dei maggiori autori di thriller in Italia.
Con ”Quattro mosche di velluto grigio” si completa la trilogia divenuta cult tra gli intenditori.
Roberto Tobias, un batterista rock, viene pedinato da giorni da una figura non identificata, avvolta in un impermeabile scuro. Una sera affronta il suo pedinatore e giunti in un teatro, durante una colluttazione lo uccide con la medesima arma impugnata dall’altro. Però, Roberto, viene visto da qualcuno che, sotto le fattezze di un’inquietante maschera, lo fotografa e sparisce nel nulla. L’osservatore misterioso, dall’omicidio comincerà a perseguitare Roberto, introducendosi persino in casa sua di notte e spedendogli fotografie della vittima. Il protagonista, spaventato, si rivolgerà ad un suo amico ed assumerà un investigatore privato, mentre un assassino comincerà a compiere il suo lavoro ammazzando delle persone, a partire dalla domestica di quest’ultimo.
Dopo questi tre gioiellini del thrilling, in Italia cominciarono ad uscire nelle sale film dove il titolo veniva collegato ai nomi di animali, tra cui film che sarebbero diventati poi dei cult. Ecco la lista:
”La coda dello scorpione”, Sergio Martino
”Una farfalla con le ali insanguinate”, Ducio Tessari
”Giornata nera per l’ariete”, Luigi Bazzoni
”L’iguana dalla lingua di fuoco”, Riccardo Freda
”L’uomo più velenoso del cobra”. Bitto Albertini
”Una lucertola con la pelle di donna”, Lucio Fulci
”Nella stretta morsa del ragno”, Antonio Margheriti
”La tarantola dal ventre nero”, Paolo Cavara
”Il sorriso della iena”, Silvio Amadio
”La volpe dalla coda di velluto”, Josè Maria Forque
”Non si sevizia un paperino”, Lucio Fulci
”La morte negli occhi del gatto”, Antonio Margheriti
”Gatti rossi in un labirinto di vetro”, Umberto Lenzi
”La sanguisuga conduce la danza”, Alfredo Rizzo
”Il gatto dagli occhi di Giada”, Antonio Rido
Gli anni ’70 sono stati, per l’Italia, un periodo d’oro, dove il giallo/thriller aveva un picco altissimo e di opere artigianali e originali ne si avevano a bizzeffe: è da considerare, forse, il periodo più autentico e proficuo del genere.
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