Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia il film Questi giorni (leggi la recensione in anteprima), diretto da Giuseppe Piccioni e interpretato dalle giovani protagoniste Maria Roveran, Marta Gastini, Laura Adriani e Caterina Le Caselle, e dai più navigati Margherita Buy, Filippo Timi e Sergio Rubini. Tutti presenti in conferenza stampa, hanno risposto alle domande dei giornalisti, dopo una lunga dichiarazione iniziale di Piccioni.
Giuseppe Piccioni: “Il rapporto di amicizia è costruito con una scrittura inconsueta. Non abbiamo voluto troppe giravolte e accadimenti nella storia. Un regista cerca di capire che film non vuole fare. Non volevamo fare il viaggio epico, ma abbiamo scommesso su una tenuta narrativa nel film, anche insolita. Abbiamo cercato la strada dando il tono della commedia, però non volevamo il classico film sul viaggio che arriva soltanto quando questo inizia. Abbiamo puntato su un nucleo centrale. Mi piace segnalare Alice Roffinengo e il suo lavoro al montaggio. I personaggi vengono posti da soli di fronte ai propri problemi. Nella seconda parte c’è un ritorno con i tempi dilatati e la voce fuoricampo come all’inizio. Affrontavamo una storia che sapevamo essere a rischio cliché, ma volevamo un film più vivo. Le trame sono come degli stampelli. Se pensi a Madame Bovary c’è una signora di provincia con un marito mediocre che si innamora di qualche bellimbusto, ma poi ci sono le parole e il come. Il paragone è naturalmente sproporzionato, ma l’importante è come mettere in scena una storia. Non mi piace dire che è una storia generazionale con elementi di nostalgia. C’è un momento in cui cantano una canzone, ma c’è la volontà di far sentite quello che stessero cantando”.
Pierpaolo Pirone: “La cosa su cui ci siamo concentrati sono le quattro ragazze con i loro sentimenti, lasciando andare in secondo piano le altre esigenze. Credo che alla fine siamo riusciti a creare un’emozione che accompagna le ragazze e ci fa stare con loro fino alla fine ed è la libertà. Appartiene ad un cinema del passato, ma a noi piace molto”.
Chiara Atalanta Ridolfi: “Ci piaceva raccontare con la libertà il passaggio di confine, che è quello che fanno le nostre ragazze. Ogni passaggio all’età più matura comporta delle perdite e non sempre è conforme alle aspettative. La vita è sempre più forte della morte. Sui cambia si progredisce e c’è una rete di protezione che ole accompagna in quella che sarà la fase successiva”.
Ho interpretato bene la sequenza sul finale in cui le due ragazze con l’amica spengono le candele come per cancellare un futuro già scritto. La signora Gastini ha riempito la rabbia di Caterina e cosa ci ha visto?
Giuseppe Piccioni: “Se ci avete fatto caso nel film ci sono dei risvegli, dei piccoli segnali ed è come se arrivassimo ad un punto in cui sottolineiamo che la totale inconsapevolezza del passaggio di cui parla Chiara. La giovinezza, il passato sono dimensioni per noi. Ci sono poche possibilità di fare enormi talk show sulla disoccupazione e c’è qualcosa su questo desiderio di futuro nella storia”
Marta Gastini: “La rabbia di Caterina, questo suo essere scontrosa. Le spine che hai nel cuore credo nascano proprio da questo. Credo si riesca a dedurre dal film che Caterina sia un personaggio solitario. L’unica tenerezza è con il fratello, mentre con l’amica di sempre Liliana riesce ad aprirsi un po’. È una ragazza forte ed indipendente che porta addosso una corazza che la rende così scontrosa nei confronti di tutti”.
Il film è candidato per un premio che favorisce l’integrazione sociale, come pensi che questo film possa rispondere?
Giuseppe Piccioni: “Mi sembra perfetto. Ovviamente non è detto in maniera didascalica ma penso che siano questi elementi in questa storia”.
Margherita Buy come ha lavorato nel personaggio? Piccioni cosa si aspetta dalla Mostra?
Margherita Buy: “Il personaggio è stato natualmente amato sin da subito perché è l’occasione di fare una cosa diversa. Ho sempre voluto fare la parrucchiera e ce l’ho fatta, tagliavo anche i capelli alle bambole. Il personaggio mi ha divertito, poi c’è il rapporto con la figlia. Lei è una madre bambina, è il cagnolino che gira intorno alla figlia. Ha avuto una maniera burbera e strana di mostrare affetto, anche quando si rende conto di non aver capito il problema così grosso dentro casa. È molto bella la scena in cui è cattivissima. Ha un’aggressività affettiva”.
Giuseppe Piccioni: “Devo dire grazie a Margherita. Avevo l’impressione che la situazione fosse sospetta il fatto che Margherita non ha mai l’aria concentrata sulla performance. Lei fa la scena come se avesse aperto il rubinetto dell’acqua aggiungendo qualcosa che per me è un grande sollievo. Non vedo la sicurezza del professionismo. Provo adrenalina e desiderio di vincere tutti i Leoni, ma so che c’è una grande competizione. Però potrebbero compiere qualche ingiustizia.Noi registi facciamo una vita miserabile, ogni tanto la polverina e il vestito buono mi divertono”.
Il film ha il viaggio e la partenza. All’inizio siete in un set con attori notevoli, poi siete da sole con i coetanei. Come sono stati questi due momenti con Giuseppe?
Maria Roveran: “È stata un’esperienza enorme condivisa con un grande gruppo di persone. Con Giuseppe ho cominciato a lavorare in anticipo sul personaggio con una lettura insieme e singola tutta l’estate scorsa. Ho avuto la fortuna di condividere questo percorso con Margherita e Filippo, ero spaventata ma è stato un viaggio ricco. Poi sono arrivate le mie colleghe che hanno permesso di creare una squadra di amiche e ci stiamo aiutando a vicenda”.
Caterina Le Caselle: “Ho sentito la differenza tra quello che abbiamo girato prima e dopo il viaggio. Quando abbiamo cominciato in Italia ho aspettato molto tempo, le mie scene sono arrivate alla fine. Poi andavo di pari passo con la storia e il mio personaggio fa un cambiamento incredibile”.
Giuseppe Piccioni: “Caterina è incredibile, quando lei strabuzza gli occhi non sarebbe accettabile dal punto di vista della recitazione ma lei riusciva a contagiare tutta la troupe con godimento puro. Questo eccesso insieme alla grazia era un curioso mix”.
Laura Adriani: “Piccioni è un maestro. Io ho cominciato 10 anni fa e non ho mai conosciuto un regista come lui. Prima del viaggio ero un’attrice, alla fine ero un’altra attrice. Un’attriciona con 5 kg in più. Giuseppe non è stato un fratello, un padre, ma un maestro. Si poneva con noi come un maestro ed è stato molto duro soprattutto con me. Ho visto al di là degli urletti e vedevo un forte amore che dura ormai da due anni”.
Filippo Timi: “Pochi adulti per fortuna nel film, non sono capace a dire grazie. È un sacco raro trovare della grazia, Giuseppe ne ha un sacco che non diresti. È grande, ma non ti ascolta. Stai da qualche altra parte, tutto questo caos si trasforma in una grazia. Io da spettatore mi sono commosso è un mix tra Sex and The City e piccole donne”.
Sergio Rubini: “Io ho cominciato preso da Piccioni per “Il grande bleck”. Gli devo tantissimo. La mia storia umana nel cinema è stata legata a questo incontro. Nello stesso anno feci Fellini e ho capito che non cotna se un autiore è grande o giovane. La sceneggiatura è un po’ un arredamento e io ho voluto fare questo film. Amo giuseppe per la sua libertà, profondità e spregiudicatezza. Lui ha avuto il coraggio di citare Godot, Marivaux e Flaubert a Venezia”.
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